…Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare… io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.
...solo un sogno, un'emozione...una nuvola...solo un alito di vento che ti sfiora, solo l'eco dei tuoi passi nella sera...
...solo un sogno, un'emozione...una nuvola...solo un alito di vento che ti sfiora, solo l'eco dei tuoi passi nella sera...
venerdì 31 agosto 2012
E' la vita...
Come
vorrei, lo sento in questo momento, essere una persona capace di vedere
tutto questo come se non avesse con esso altro rapporto se non vederlo
[…].
Non aver imparato fin dalla nascita ad attribuire
significati usati a tutte queste cose; poter separare l’immagine che le
cose hanno in sé dall’immagine che è stata loro imposta. […]
Smarrisco l’immagine che vedevo. Sono diventato un cieco che vede. […]
Tutto questo non è più la Realtà: è semplicemente la Vita.
Il libro dell’inquietudine _ Fernando Pessoa
Una poesia d'amore
Non so… L’ignoro.
Non ricordo quanto tempo sono vissuto
senza incontrarla di nuovo.
Forse un secolo? Forse.
Forse un po’ meno: novantanove anni.
Oppure un mese? Può darsi. In ogni caso
un tratto di tempo enorme, enorme.
Infine, come una rosa subitanea,
repentina campanula tremante,
ecco la notizia.
Sapere d’improvviso
che stavo per rivederla ancora, che l’avrei avuta
vicina, tangibile, reale, come nei sogni.
Che esplosione contenuta!
Che tuono sordo
mi circola nelle vene,
e scoppia là, in alto,
dentro il mio sangue, in
una notturna tempesta!
E il ritrovarci, poi? E la maniera
di salutarci, una maniera
che nessuno avrebbe mai compreso,
che è proprio la nostra maniera?
Uno sfiorarsi appena, un contatto elettrico,
una stretta di mano cospirativa, uno sguardo, un palpito al cuore
che grida, che urla con silenziosa voce.
E poi
(lo sapete dai quindici anni)
quell’aleggiare delle parole prigioniere,
parole dagli occhi bassi,
parole reclusorie
fra ostili testimoni.
E ancora
un amore fatto di “io l’amo,”
di “lei”, di “vorrei proprio,
ma è impossibile.-..” Di “non possiamo,
no, ci pensi meglio…”
E’ un amore così,
è un amore d’abisso in primavera,
cortese, cordiale, felice, fatale.
Nicolás Cristóbal Guillén Batista
Non ricordo quanto tempo sono vissuto
senza incontrarla di nuovo.
Forse un secolo? Forse.
Forse un po’ meno: novantanove anni.
Oppure un mese? Può darsi. In ogni caso
un tratto di tempo enorme, enorme.
Infine, come una rosa subitanea,
repentina campanula tremante,
ecco la notizia.
Sapere d’improvviso
che stavo per rivederla ancora, che l’avrei avuta
vicina, tangibile, reale, come nei sogni.
Che esplosione contenuta!
Che tuono sordo
mi circola nelle vene,
e scoppia là, in alto,
dentro il mio sangue, in
una notturna tempesta!
E il ritrovarci, poi? E la maniera
di salutarci, una maniera
che nessuno avrebbe mai compreso,
che è proprio la nostra maniera?
Uno sfiorarsi appena, un contatto elettrico,
una stretta di mano cospirativa, uno sguardo, un palpito al cuore
che grida, che urla con silenziosa voce.
E poi
(lo sapete dai quindici anni)
quell’aleggiare delle parole prigioniere,
parole dagli occhi bassi,
parole reclusorie
fra ostili testimoni.
E ancora
un amore fatto di “io l’amo,”
di “lei”, di “vorrei proprio,
ma è impossibile.-..” Di “non possiamo,
no, ci pensi meglio…”
E’ un amore così,
è un amore d’abisso in primavera,
cortese, cordiale, felice, fatale.
Nicolás Cristóbal Guillén Batista
Le era parso che somigliasse...
Le
era parso che somigliasse stranamente a chi aveva occupato il fulgore
breve del tempo: del consumato tempo. Ma sapeva bene che nessuno,
nessuno mai, ritorna.
Vagava nella casa: e talora dischiudeva le gelosie di una finestra, che il sole entrasse, nella grande stanza.
Ma che cosa era il sole? Quale giorno portava? Sopra i latrati del buio.
Ella ne conosceva le dimensioni e l'intrinseco, la distanza dalla terra, dai rimanenti pianeti tutti: e il loro andare e rivolvere; molte cose aveva imparato e insegnato: e i matemi e le quadrature di Keplero che perseguono nella vacuità degli spazi senza senso l'ellisse del nostro disperato dolore.
Vagava nella casa, come cercando il sentiero misterioso che l'avrebbe condotta ad incontrare qualcuno: o forse una solitudine soltanto, priva d'ogni pietà e d'ogni immagine…
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore
Vagava nella casa: e talora dischiudeva le gelosie di una finestra, che il sole entrasse, nella grande stanza.
Ma che cosa era il sole? Quale giorno portava? Sopra i latrati del buio.
Ella ne conosceva le dimensioni e l'intrinseco, la distanza dalla terra, dai rimanenti pianeti tutti: e il loro andare e rivolvere; molte cose aveva imparato e insegnato: e i matemi e le quadrature di Keplero che perseguono nella vacuità degli spazi senza senso l'ellisse del nostro disperato dolore.
Vagava nella casa, come cercando il sentiero misterioso che l'avrebbe condotta ad incontrare qualcuno: o forse una solitudine soltanto, priva d'ogni pietà e d'ogni immagine…
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore
Mi basterà averti vicina
Mi
basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto –
gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò
retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili. Che pure
io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di
fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non
ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così
amiche dell’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, ad essere
abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come
suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu – adesso che ci
penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri
difficili a valicare. Tu sei dentro una vita che ignoro, e gli altri
uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi
passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me.
Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai
uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare
che a te, e mi piace dirti queste cose.
Dino Buzzati - Sessanta Racconti
Con alterna chiave
Con alterna chiave
tu schiudi la casa dove
la neve volteggia delle cose taciute.
A seconda del sangue che ti sprizza
da occhio, bocca ed orecchio
varia la tua chiave.
Varia la tua chiave, varia la parola
cui è concesso volteggiare coi fiocchi.
A seconda del vento che via ti spinge
s’aggruma attorno alla parola la neve.
Paul Celan
tu schiudi la casa dove
la neve volteggia delle cose taciute.
A seconda del sangue che ti sprizza
da occhio, bocca ed orecchio
varia la tua chiave.
Varia la tua chiave, varia la parola
cui è concesso volteggiare coi fiocchi.
A seconda del vento che via ti spinge
s’aggruma attorno alla parola la neve.
Paul Celan
I miei amori
I miei amori cominciano nei tempi futuri.
I miei amori non sono mai esistiti,
perché loro non ne sapevano niente.
Oppure non sapevo niente io, e ci siamo amati in silenzio
e in tempi diversi.
Alda Merini
I miei amori non sono mai esistiti,
perché loro non ne sapevano niente.
Oppure non sapevo niente io, e ci siamo amati in silenzio
e in tempi diversi.
Alda Merini
Non v'è posto per me
Nella società, così come noi l’abbiamo costruita, non v’è posto per me, nè vi potrà mai essere; ma la Natura, le cui dolci piogge bagnano indistintamente il giusto come il peccatore, avrà anfratti nelle rocce entro cui potrò nascondermi, e valli segrete nel cui silenzio potrò piangere indisturbato. Essa appenderà stelle alla volta del cielo perchè io possa camminare nelle tenebre senza inciampare; e farà soffiare il vento perchè cancelli le mie impronte e io non venga inseguito e braccato a morte. Essa mi laverà con i suoi grandi fiumi, e le sue erbe amare mi guariranno.
- Oscar Wilde [De Profundis]
- Oscar Wilde [De Profundis]
Ma quando stiamo seduti vicini
Ma quando stiamo seduti vicini, insieme, parlando ci fondiamo uno nell’altra. Siamo alonati di nebbia. Formiamo un territorio immateriale.
Sembra che tutti agiscano solo nell’istante, senza futuro. Senza futuro. Quest’urgere è tremendo.
Mi aggrapperò per tutta la vita alla superficie delle parole.
Non voglio che la gente, quando entro io, alzi gli occhi con ammirazione. Voglio donare, voglio ricevere, e voglio solitudine in cui aprire i miei possessi.
Quelli che mi hanno disprezzato riconosceranno la mia sovranità. Ma per una qualche legge imperscrutabile del mio essere, la sovranità e il possesso del potere non saranno sufficienti; mi spingerò sempre, aprendo le tende, verso l’intimità, e desidererò qualche solitaria parola sussurrata. Perciò me ne vado dubbioso, ma esaltato; temendo un dolore intollerabile; eppure, nel mio avventuroso andare, mi ritengo destinato ad essere vittorioso dopo grave sofferenza; destinato, certamente, a scoprire alla fine il mio desiderio.
Adesso diventa chiaro che io non sono unico e semplice, ma complesso e molteplice.
In un mondo che contiene il momento presente, perchè fare discriminazioni? Non si dovrebbe nominare mai nulla, per non cambiarlo.
Siamo condannati, tutti quanti. Le donne passano strascicando i piedi con la borsa della spesa. La gente continua a passare. Ma non mi distruggerai. Per un momento, per questo solo momento, noi siamo insieme. Ti stringo a me. Vieni, dolore, nutriti di me. Affondami le zanne nella carne. Fammi a pezzi. Io singhiozzo, singhiozzo.
Sono sola in un mondo ostile. Il volto umano è repellente. Questo mi va a genio. Voglio pubblicità e violenza ed essere sbattuta come una pietra contro le rocce. Amo le ciminiere delle fabbriche, le gru e i camion. Mi piace veder passare facce su facce, deformate, indifferenti. Sono nauseata dalla gradevolezza. Sono nauseata dalla privacy. Guado acque furiose e affonderò senza che nessuno mi salvi.
Non ci può essere dubbio che le nostre vite meschine, sgradevoli a vedersi come sono, si rivestono di splendore e acquistano significato soltanto sotto gli occhi dell’amore.
Dobbiamo opporci allo spreco e alla deformità del mondo, alle sue folle che turbinano in mulinelli, violentemente rigettate e scalpitanti.
Tu sei tu. E’ questo che mi consola della mancanza di tante cose - sono brutto, sono debole - e della cattiveria del mondo, e della fuga della giovinezza, e dell’amarezza e del rancore e delle invidie innumerevoli.
Virginia Woolf - Le onde
Sembra che tutti agiscano solo nell’istante, senza futuro. Senza futuro. Quest’urgere è tremendo.
Mi aggrapperò per tutta la vita alla superficie delle parole.
Non voglio che la gente, quando entro io, alzi gli occhi con ammirazione. Voglio donare, voglio ricevere, e voglio solitudine in cui aprire i miei possessi.
Quelli che mi hanno disprezzato riconosceranno la mia sovranità. Ma per una qualche legge imperscrutabile del mio essere, la sovranità e il possesso del potere non saranno sufficienti; mi spingerò sempre, aprendo le tende, verso l’intimità, e desidererò qualche solitaria parola sussurrata. Perciò me ne vado dubbioso, ma esaltato; temendo un dolore intollerabile; eppure, nel mio avventuroso andare, mi ritengo destinato ad essere vittorioso dopo grave sofferenza; destinato, certamente, a scoprire alla fine il mio desiderio.
Adesso diventa chiaro che io non sono unico e semplice, ma complesso e molteplice.
In un mondo che contiene il momento presente, perchè fare discriminazioni? Non si dovrebbe nominare mai nulla, per non cambiarlo.
Siamo condannati, tutti quanti. Le donne passano strascicando i piedi con la borsa della spesa. La gente continua a passare. Ma non mi distruggerai. Per un momento, per questo solo momento, noi siamo insieme. Ti stringo a me. Vieni, dolore, nutriti di me. Affondami le zanne nella carne. Fammi a pezzi. Io singhiozzo, singhiozzo.
Sono sola in un mondo ostile. Il volto umano è repellente. Questo mi va a genio. Voglio pubblicità e violenza ed essere sbattuta come una pietra contro le rocce. Amo le ciminiere delle fabbriche, le gru e i camion. Mi piace veder passare facce su facce, deformate, indifferenti. Sono nauseata dalla gradevolezza. Sono nauseata dalla privacy. Guado acque furiose e affonderò senza che nessuno mi salvi.
Non ci può essere dubbio che le nostre vite meschine, sgradevoli a vedersi come sono, si rivestono di splendore e acquistano significato soltanto sotto gli occhi dell’amore.
Dobbiamo opporci allo spreco e alla deformità del mondo, alle sue folle che turbinano in mulinelli, violentemente rigettate e scalpitanti.
Tu sei tu. E’ questo che mi consola della mancanza di tante cose - sono brutto, sono debole - e della cattiveria del mondo, e della fuga della giovinezza, e dell’amarezza e del rancore e delle invidie innumerevoli.
Virginia Woolf - Le onde
Corpo stellare
Mi segui con un pensiero, sei un pensiero
che non devo nemmeno pensare, come un brivido
mi strini piano la pelle, muovi gli occhi
verso un punto chiaro di luce. Sei un ricordo
perduto e luminoso, sei il mio sogno
senza sogno e senza ricordi, la porta che chiude
e apre sulla corrente di un fiume impetuoso. Sei una cosa
che nessuna parola può dire e che in ogni parola
risuona come l’eco di un lento respiro, sei il mio vento
di foglie e primavere, la voce che chiama
da un posto che non so e riconosco che è mio.
Sei l’ululato di un lupo, la voce del cervo
vivo e ferito a morte. Il mio corpo stellare.
Fabio Pusterla
che non devo nemmeno pensare, come un brivido
mi strini piano la pelle, muovi gli occhi
verso un punto chiaro di luce. Sei un ricordo
perduto e luminoso, sei il mio sogno
senza sogno e senza ricordi, la porta che chiude
e apre sulla corrente di un fiume impetuoso. Sei una cosa
che nessuna parola può dire e che in ogni parola
risuona come l’eco di un lento respiro, sei il mio vento
di foglie e primavere, la voce che chiama
da un posto che non so e riconosco che è mio.
Sei l’ululato di un lupo, la voce del cervo
vivo e ferito a morte. Il mio corpo stellare.
Fabio Pusterla
A che serve il mio essere di paglia
A che serve il mio essere di paglia
se tu non vieni con la forca a spostarmi? Se
tu non vieni con le pinzette a spostarmi? Con
le pinzette della violenza a pregarmi, a spostarmi,
a sposarmi?
Amelia Rosselli, La libellula e altri scritti
se tu non vieni con la forca a spostarmi? Se
tu non vieni con le pinzette a spostarmi? Con
le pinzette della violenza a pregarmi, a spostarmi,
a sposarmi?
Amelia Rosselli, La libellula e altri scritti
Fosse ciascun amante assorto
Fosse ciascun amante assorto solo nel proprio amore, dolcemente incurante dei sentimenti dell’altro e insieme, proprio per questo, dimentico di sé, immerso come un pesce gioioso nella realtà dell’altro. Nessun amore avrebbe fine mai. «Che io non voglia mai chiederti amore» dovrebb’essere il voto reciproco degli amanti, la formula sacramentale delle nozze.
È un equilibrio impossibile, ma di che altro l’amore vorrà vivere? «Finché non siate in grado di udire l’applauso di una sola mano…».
Cristina Campo, Gli imperdonabili
È un equilibrio impossibile, ma di che altro l’amore vorrà vivere? «Finché non siate in grado di udire l’applauso di una sola mano…».
Cristina Campo, Gli imperdonabili
Ricevimento di un amico
Lo seguo,
lo precedo nella voce
perché ho,
come il fumo spopolato,
vocazione di acquerello.
Raccontami
come sono lì le cose di consumo:
libri,
rose,
tintinnii di rondini.
A parte tutto questo
gli domando
dei manghi geologici
che lo bordeggiano di polpa,
e di un nuovo fiume,
senza guardarlo,
con popoli di suono
e longitudine di Arcangelo.
Dimmi anche qualcosa del piccolo litorale
dove recentemente il giorno,
come un celeste animale bifronte,
si accampò in due acquari
e si colmò di pesci.
O se lo ricevettero unanimi gli alberi
come quando elessero la prima allodola dell'anno
e il giorno della fioritura.
Riassumimi ora che tremo
benignamente
dietro una rondine,
ora che mi propongono pubblicamente
per nudo di farfalla
e sto come le rose
disordinando l'aria.
Eunice Odio, da Questo è il bosco e altre poesie
lo precedo nella voce
perché ho,
come il fumo spopolato,
vocazione di acquerello.
Raccontami
come sono lì le cose di consumo:
libri,
rose,
tintinnii di rondini.
A parte tutto questo
gli domando
dei manghi geologici
che lo bordeggiano di polpa,
e di un nuovo fiume,
senza guardarlo,
con popoli di suono
e longitudine di Arcangelo.
Dimmi anche qualcosa del piccolo litorale
dove recentemente il giorno,
come un celeste animale bifronte,
si accampò in due acquari
e si colmò di pesci.
O se lo ricevettero unanimi gli alberi
come quando elessero la prima allodola dell'anno
e il giorno della fioritura.
Riassumimi ora che tremo
benignamente
dietro una rondine,
ora che mi propongono pubblicamente
per nudo di farfalla
e sto come le rose
disordinando l'aria.
Eunice Odio, da Questo è il bosco e altre poesie
giovedì 30 agosto 2012
Solitudini composte
Da qui a sera
avrò tempo per dimenticarti,
o tutto il tempo
per uccidermi in un ricordo.
Da qui a sera,
saranno ore di primavera,
di solitudini composte
come fosse vero che eri e sei
il tempo che non torna.
Un pensiero a forma di te
muove, come fosse vento,
i rami e le foglie.
Starti dentro in eterna distanza,
osservarti andare
mentre io, solo per sopravviverti,
a me,
solo a me,
nel silenzio della pietra
e nel dove dell’acqua
ritorno.
Beatrice Niccolai
Ogni volta che ti lascio
Ogni volta che ti lascio, trattengo negli occhi lo
Splendore del tuo ultimo sguardo. E allora
Corro a rinchiudermi, spengo le luci, evito ogni
Rumore perché nulla mi rubi un solo atomo della
Sostanza eterea del tuo sguardo, la sua infinita dolcezza,
La sua limpida timidezza, la sua fine estasi.
Tutta la notte, con la punta rosata delle dita,
Accarezzo gli occhi che ti hanno guardato.
Splendore del tuo ultimo sguardo. E allora
Corro a rinchiudermi, spengo le luci, evito ogni
Rumore perché nulla mi rubi un solo atomo della
Sostanza eterea del tuo sguardo, la sua infinita dolcezza,
La sua limpida timidezza, la sua fine estasi.
Tutta la notte, con la punta rosata delle dita,
Accarezzo gli occhi che ti hanno guardato.
Alfonsina Storni
Cade la stella della sera
Parlami piano: il sole calante
Oltre la vista. Ora vienimi accanto.
Caro morente crollo d’ali quando
Gli uccelli piangono contro il buio
Esagera il verde sangue dell’erba;
La musica delle foglie che gratta lo spazio;
Moltiplica la pace con un suono;
Con una sillaba del tuo nome
E il piccolo è presto gigante,
Il raro cresce in belle comune
Riposare la mia bocca sulla tua
Mentre in un luogo cade una stella
E la terra la prende piano, di amore naturale
Come noi ci prendiamo per entrare nel sonno.
Kenneth Patchen
Oltre la vista. Ora vienimi accanto.
Caro morente crollo d’ali quando
Gli uccelli piangono contro il buio
Esagera il verde sangue dell’erba;
La musica delle foglie che gratta lo spazio;
Moltiplica la pace con un suono;
Con una sillaba del tuo nome
E il piccolo è presto gigante,
Il raro cresce in belle comune
Riposare la mia bocca sulla tua
Mentre in un luogo cade una stella
E la terra la prende piano, di amore naturale
Come noi ci prendiamo per entrare nel sonno.
Kenneth Patchen
La mia grande tenerezza
La mia grande tenerezza
Per gli uccellini morti,
Per i ragnetti piccoli.
La mia grande tenerezza
Per le donne che furono belle bambine
E sono diventate brutte donne;
Per le donne che furono desiderabili
E hanno smesso di esserlo;
Per le donne che mi amarono
E che io non ho potuto amare.
La mia grande tenerezza
Per le poesie che
Non sono riuscito a realizzare.
La mia grande tenerezza
Per le amate che
Sono invecchiate senza cattiveria.
La mia grande tenerezza
Per le gocce di rugiada che
Sono l'unico ornamento
Di una tomba.
Manuel Bandeira
(A Estrela da tarde, 1958)
Per gli uccellini morti,
Per i ragnetti piccoli.
La mia grande tenerezza
Per le donne che furono belle bambine
E sono diventate brutte donne;
Per le donne che furono desiderabili
E hanno smesso di esserlo;
Per le donne che mi amarono
E che io non ho potuto amare.
La mia grande tenerezza
Per le poesie che
Non sono riuscito a realizzare.
La mia grande tenerezza
Per le amate che
Sono invecchiate senza cattiveria.
La mia grande tenerezza
Per le gocce di rugiada che
Sono l'unico ornamento
Di una tomba.
Manuel Bandeira
(A Estrela da tarde, 1958)
Quasi un inno
Senza confronto sei rimasta,
non spogliata, ma vergognosamente nuda,
confronto solo con te stessa,
non solo bella, ma bellezza,
non più luminosa, ma luce,
non più seducente, ma seduzione,
non più viva, ma tutta vita,
grido che assorda se stesso
ed è silenzio, che gli presta ascolto
sguardo, che un altro sguardo acceca
e accecato apre gli occhi,
fuoco, che s’infiamma per spegnersi,
pace destata dalle tempeste,
tempesta che cerca la pace,
amore,
bianco sul letto,
verde nell’erba,
azzurro nel cielo sopra di sé,
rosso al tramonto,
buio per l’intera notte,
amore,
solo a se stesso unico confronto,
non più come un albero, ma soltanto:
eretto dall’amore,
non come la morte, ma solo:
amore disteso come orizzonte,
tu–io, noi due.
Ciril Zlobec
non spogliata, ma vergognosamente nuda,
confronto solo con te stessa,
non solo bella, ma bellezza,
non più luminosa, ma luce,
non più seducente, ma seduzione,
non più viva, ma tutta vita,
grido che assorda se stesso
ed è silenzio, che gli presta ascolto
sguardo, che un altro sguardo acceca
e accecato apre gli occhi,
fuoco, che s’infiamma per spegnersi,
pace destata dalle tempeste,
tempesta che cerca la pace,
amore,
bianco sul letto,
verde nell’erba,
azzurro nel cielo sopra di sé,
rosso al tramonto,
buio per l’intera notte,
amore,
solo a se stesso unico confronto,
non più come un albero, ma soltanto:
eretto dall’amore,
non come la morte, ma solo:
amore disteso come orizzonte,
tu–io, noi due.
Ciril Zlobec
La voce più profonda
Raramente ho incontrato la felicità tranne
negli istanti molto brevi nei quali non sapevo
di aver incontrato la felicità: un quaderno sul
tavolo, un libro che ho amato, il rumore del mare.
In questo sono più felice che nell’amore. Più in questo
incontro i miei giorni che nei giorni miei,
onorando il dovere e la famiglia e Dio o il futuro
stesso e le stagioni dell’anno o il tuo nome.
Avere figli, dimenticare la voce più profonda,
l’avventura, spargere per il cielo i segnali di tutta la vita,
gli uccelli, le navi, un giardino, una voce antica.
negli istanti molto brevi nei quali non sapevo
di aver incontrato la felicità: un quaderno sul
tavolo, un libro che ho amato, il rumore del mare.
In questo sono più felice che nell’amore. Più in questo
incontro i miei giorni che nei giorni miei,
onorando il dovere e la famiglia e Dio o il futuro
stesso e le stagioni dell’anno o il tuo nome.
Avere figli, dimenticare la voce più profonda,
l’avventura, spargere per il cielo i segnali di tutta la vita,
gli uccelli, le navi, un giardino, una voce antica.
Francisco José Viegas
Nella dolente solitudine della domenica
Sono qui,
nuda,
sulle lenzuola solitarie
di questo letto in cui ti desidero.
Guardo il mio corpo,
liscio e rosato nello specchio,
il mio corpo
che è stato avido territorio dei tuoi baci,
questo corpo pieno di ricordo
della tua incontenibile passione
sul quale hai combattuto sudate battaglie
nelle lunghe notti di gemiti e di risa
e di sudori dalle mie cavità profonde.
Guardo i miei seni
che sistemavi sorridendo
nel palmo della tua mano,
che stringevi come uccellini nelle tue gabbie di cinque sbarre,
mentre un fiore mi si accendeva
e arrestava la sua dura corolla
contro la tua dolce carne.
Guardo le mie gambe,
lunghe e lente conoscitrici delle tue carezze,
che ruotavano rapide e nervose sui loro cardini
per aprirti il psentiero della perdizione
proprio verso il mio centro
verso la dolce vegetazione del campo
dove hai ordito taciti combattimenti
coronati dal piacere,
annunciati da raffiche di fucile
e da arcaici tuoni.
Mi guardo e mi vedo,
è lo specchio di te che si tende dolente
su questa solitudine domenicale,
uno specchio rosato,
un calco vuoto che cerca l'altro suo emisfero.
Piove a dirotto sul mio volto
e penso soltanto al tuo amore lontano
mentre difendo
con tutte le mie forze,
la speranza.
Gioconda Belli
nuda,
sulle lenzuola solitarie
di questo letto in cui ti desidero.
Guardo il mio corpo,
liscio e rosato nello specchio,
il mio corpo
che è stato avido territorio dei tuoi baci,
questo corpo pieno di ricordo
della tua incontenibile passione
sul quale hai combattuto sudate battaglie
nelle lunghe notti di gemiti e di risa
e di sudori dalle mie cavità profonde.
Guardo i miei seni
che sistemavi sorridendo
nel palmo della tua mano,
che stringevi come uccellini nelle tue gabbie di cinque sbarre,
mentre un fiore mi si accendeva
e arrestava la sua dura corolla
contro la tua dolce carne.
Guardo le mie gambe,
lunghe e lente conoscitrici delle tue carezze,
che ruotavano rapide e nervose sui loro cardini
per aprirti il psentiero della perdizione
proprio verso il mio centro
verso la dolce vegetazione del campo
dove hai ordito taciti combattimenti
coronati dal piacere,
annunciati da raffiche di fucile
e da arcaici tuoni.
Mi guardo e mi vedo,
è lo specchio di te che si tende dolente
su questa solitudine domenicale,
uno specchio rosato,
un calco vuoto che cerca l'altro suo emisfero.
Piove a dirotto sul mio volto
e penso soltanto al tuo amore lontano
mentre difendo
con tutte le mie forze,
la speranza.
Gioconda Belli
L'altro amore
E’ la donna che deve guardare il tempo:
l’altra donna,
quella che non può fermarsi troppo.
E’ l’amante, complice di una travolgente passione
che brucia e divora l’anima e domina il cuore.
Sapessi quante volte ho pensato a lei
mentre nel mio letto c’eri tu!
Sapessi quanto è stato facile
dimenticarti dopo la scelta.
Lei c’è sempre stata: fisicamente,emotivamente.
Divide un pezzo di cuore con me,
divide il suo segreto con me.
Ma è un segreto d’amore
che non potrai mai capire.
Perchè mentre tu pensavi solo a te stessa
lei stava qui con me
a raccogliere i miei pezzi,
ad asciugare il mio sudore,
ad esaltare la mia semplicità.
Adesso non deve più sparire, non può.
Adesso è al mio fianco, è nella mia vita,
è nelle mie giornate allegre e in quelle tristi.
Lei c’è.
Wystan Auden
l’altra donna,
quella che non può fermarsi troppo.
E’ l’amante, complice di una travolgente passione
che brucia e divora l’anima e domina il cuore.
Sapessi quante volte ho pensato a lei
mentre nel mio letto c’eri tu!
Sapessi quanto è stato facile
dimenticarti dopo la scelta.
Lei c’è sempre stata: fisicamente,emotivamente.
Divide un pezzo di cuore con me,
divide il suo segreto con me.
Ma è un segreto d’amore
che non potrai mai capire.
Perchè mentre tu pensavi solo a te stessa
lei stava qui con me
a raccogliere i miei pezzi,
ad asciugare il mio sudore,
ad esaltare la mia semplicità.
Adesso non deve più sparire, non può.
Adesso è al mio fianco, è nella mia vita,
è nelle mie giornate allegre e in quelle tristi.
Lei c’è.
Wystan Auden
Sai? Voglio sciogliermi piano

(che nessuno se ne accorga) dal vano
convegno ciarliero,
non appena sul nero
cielo, là fuori,
avverta sbocciar come fiori,
d'in cima alle querce più snelle,
le pallide stelle.
Trasceglierò sentieri,
che solo rari e leggieri
passi sfiorarono:
su pallidi prati
notturni, bagnati
d'incanto...
E poi?... questo sogno soltanto:
che tu sei con me.
Rainer Maria Rilke
LXIX - Forse non essere è esser senza che tu sia
Forse non essere è esser senza che tu sia,
senza che tu vada tagliando il mezzogiorno
come un fiore azzurro, senza che tu cammini
più tardi per la nebbia e i mattoni,
senza quella luce che tu rechi in mano
che forse altri non vedran dorata,
che forse nessuno seppe che cresceva
come l’origine rossa della rosa,
senza che tu sia, infine, senza che venissi
brusca, eccitante, a conoscer la mia vita,
raffica di roseto, frumento del vento,
ed allora sono perché tu sei,
ed allora sei, sono e siamo,
e per amore sarò, sarai, saremo.
Pablo Neruda
senza che tu vada tagliando il mezzogiorno
come un fiore azzurro, senza che tu cammini
più tardi per la nebbia e i mattoni,
senza quella luce che tu rechi in mano
che forse altri non vedran dorata,
che forse nessuno seppe che cresceva
come l’origine rossa della rosa,
senza che tu sia, infine, senza che venissi
brusca, eccitante, a conoscer la mia vita,
raffica di roseto, frumento del vento,
ed allora sono perché tu sei,
ed allora sei, sono e siamo,
e per amore sarò, sarai, saremo.
Pablo Neruda
La schiava migliore
La schiava migliore
non ha bisogno d’esser picchiata.
Si picchia da sè.
Non con una frusta di cuoio,
o con bastoni e verghe,
non con un randello
o con un manganello,
ma con la frusta fine
della sua stessa lingua
e il battere sottile
della sua mente
contro la sua mente.
Chi può infatti nutrire per lei metà
dell’odio che nutre essa stessa?
e chi può eguagliare la finezza
degli insulti che si rivolge?
Anni di allenamento
occorrono per questo.
Venti anni
di auto-indulgenza
e negazione di sè;
finchè il soggetto si ritiene una regina
e pure una mendicante-
le due cose allo stesso tempo.
Deve dubitare di sè
in tutto fuorchè l’amore.
Deve scegliere appassionatamente
e malamente.
Deve sentirsi perduta come un cane
senza il padrone.
Deve riferire tutte le questioni morali
al proprio specchio.
Deve innamorarsi di un cosacco
o di un poeta.
Non deve mai uscire di casa
se non celata sotto il trucco.
Deve portare scarpe strette
perchè sempre ricordi di essere schiava.
Non deve dimenticare
che è radicata nel terreno.
Benchè sia svelta nell’apprendere
e riconosciuta intelligente
il dubbio che istintivamente ha di sè
la deve rendere così debole
che si applica brillantemente
a mezza dozzina di opere d’ingegno
e così abbellisce
ma non cambia
la nostra vita.
Se è un’artista
e quasi quasi è un genio,
il fatto stesso d’avere questo dono
deve riuscirle così penoso
che si toglie la vita
piuttosto che vincerci.
E dopo la sua morte, piangeremo
e ne faremo una santa.
Erica Jong - Alcesti al circuito della poesia, 1973
non ha bisogno d’esser picchiata.
Si picchia da sè.
Non con una frusta di cuoio,
o con bastoni e verghe,
non con un randello
o con un manganello,
ma con la frusta fine
della sua stessa lingua
e il battere sottile
della sua mente
contro la sua mente.
Chi può infatti nutrire per lei metà
dell’odio che nutre essa stessa?
e chi può eguagliare la finezza
degli insulti che si rivolge?
Anni di allenamento
occorrono per questo.
Venti anni
di auto-indulgenza
e negazione di sè;
finchè il soggetto si ritiene una regina
e pure una mendicante-
le due cose allo stesso tempo.
Deve dubitare di sè
in tutto fuorchè l’amore.
Deve scegliere appassionatamente
e malamente.
Deve sentirsi perduta come un cane
senza il padrone.
Deve riferire tutte le questioni morali
al proprio specchio.
Deve innamorarsi di un cosacco
o di un poeta.
Non deve mai uscire di casa
se non celata sotto il trucco.
Deve portare scarpe strette
perchè sempre ricordi di essere schiava.
Non deve dimenticare
che è radicata nel terreno.
Benchè sia svelta nell’apprendere
e riconosciuta intelligente
il dubbio che istintivamente ha di sè
la deve rendere così debole
che si applica brillantemente
a mezza dozzina di opere d’ingegno
e così abbellisce
ma non cambia
la nostra vita.
Se è un’artista
e quasi quasi è un genio,
il fatto stesso d’avere questo dono
deve riuscirle così penoso
che si toglie la vita
piuttosto che vincerci.
E dopo la sua morte, piangeremo
e ne faremo una santa.
Erica Jong - Alcesti al circuito della poesia, 1973
SONETTO [III]
Amo della notte il preludio quando venite insieme,
mano nella mano, e mi avvolgete lente,
strofa dopo strofa, mi portate lassù sulle vostre ali.
Amiche mie, restate, non affrettatevi
e dormite contro i miei fianchi come le ali di una rondine
stanca.
Calda è la vostra seta. Il flauto dovrà rallentare
per levigare un sonetto quando mi troverete segreto e bello
come un senso sul punto di spogliarsi. Non riuscendo ad
arrivare
né a indugiare davanti alle parole, mi sceglie come soglia.
Amo della poesia la spontaneità della prosa e l'immagine
velata,
senza una luna per l'eloquenza: quando cammini scalza,
la rima abbandona l'amplesso delle parole
e si spezzala cadenza al culmine della prova.
Un poco di notte accanto a te basta per farmi uscire dalla
mia Babilonia
verso la mia essenza, la mia fine. Nessun giardino in me
e tu, tu sei tutta. E da te trabocca il me libero e buono.
Mahmud Darwish
mano nella mano, e mi avvolgete lente,
strofa dopo strofa, mi portate lassù sulle vostre ali.
Amiche mie, restate, non affrettatevi
e dormite contro i miei fianchi come le ali di una rondine
stanca.
Calda è la vostra seta. Il flauto dovrà rallentare
per levigare un sonetto quando mi troverete segreto e bello
come un senso sul punto di spogliarsi. Non riuscendo ad
arrivare
né a indugiare davanti alle parole, mi sceglie come soglia.
Amo della poesia la spontaneità della prosa e l'immagine
velata,
senza una luna per l'eloquenza: quando cammini scalza,
la rima abbandona l'amplesso delle parole
e si spezzala cadenza al culmine della prova.
Un poco di notte accanto a te basta per farmi uscire dalla
mia Babilonia
verso la mia essenza, la mia fine. Nessun giardino in me
e tu, tu sei tutta. E da te trabocca il me libero e buono.
Mahmud Darwish
Apparizione
La luna intristiva. Serafini in lacrime
sognando, l'arco levato, nella calma dei fiori
vaporosi, traevano da moribonde viole
bianchi singhiozzi, passando sull'azzurro delle corolle.
- Era il giorno benedetto del tuo primo bacio.
La mia fantasia compiaciuta di martirizzarmi
si inebriava sapientemente al profumo della tristezza,
che anche senza rimpianto e senza disagio lascia
il cogliere un Sogno al cuore di chi l'ha colto.
Vagavo dunque, l'occhio fisso al selciato consunto,
quando col fulgore del sole sui capelli, nella strada
e nella sera, tu mi apparisti ridente,
e io credetti vedere la fata dal cappello di luce
che un tempo nei miei sogni di fanciullo viziato
passava, lasciando sempre dalle sue mani socchiuse
fioccare bianchi mazzetti di stelle odorose.
Stéphane Mallarmé
sognando, l'arco levato, nella calma dei fiori
vaporosi, traevano da moribonde viole
bianchi singhiozzi, passando sull'azzurro delle corolle.
- Era il giorno benedetto del tuo primo bacio.
La mia fantasia compiaciuta di martirizzarmi
si inebriava sapientemente al profumo della tristezza,
che anche senza rimpianto e senza disagio lascia
il cogliere un Sogno al cuore di chi l'ha colto.
Vagavo dunque, l'occhio fisso al selciato consunto,
quando col fulgore del sole sui capelli, nella strada
e nella sera, tu mi apparisti ridente,
e io credetti vedere la fata dal cappello di luce
che un tempo nei miei sogni di fanciullo viziato
passava, lasciando sempre dalle sue mani socchiuse
fioccare bianchi mazzetti di stelle odorose.
Stéphane Mallarmé
Ti amo e preferirei di no
Ti amo, e preferirei di no,
Tutto di te e non so perché.
Tante ragazze hanno
Gli occhi fioriti di dolcezza,
Il collo eretto come quello di un cigno
Con una piccola macchia bruna
Per lasciarvi cadere
Timide occulte lacrime
E baci di promessa.
E allora perché non amo, amore, altre che te?
Ma se sapessi perché io t'amo, amore,
Forse non t'amerei con tanto ardore.
Thomas Hood
Tutto di te e non so perché.
Tante ragazze hanno
Gli occhi fioriti di dolcezza,
Il collo eretto come quello di un cigno
Con una piccola macchia bruna
Per lasciarvi cadere
Timide occulte lacrime
E baci di promessa.
E allora perché non amo, amore, altre che te?
Ma se sapessi perché io t'amo, amore,
Forse non t'amerei con tanto ardore.
Thomas Hood
mercoledì 29 agosto 2012
L'amore è eterno
Non
è possibile amarsi e separarsi. Si vorrebbe che fosse possibile. Si può
trasformare l’amore, ignorarlo, sprecarlo, non si può estirparlo
dall’anima. Io so per esperienza che i poeti hanno ragione: l’amore è
eterno.
E. M. Forster - Camera con vista
La linea d'ombra
Ti trascino
per i varchi della mia incostanza
afferrandoti per il braccio
su cui è tatuato il disappunto
e cerco nel tuo volto i segni del
disagio, con un timore dentro
che scorgo ad ogni lampo di coscienza.
Con incroci di addii
ho progettato il calvario della notte
ed ho bendato gli occhi al pensiero che dorme,
perché non senta il dramma
del risveglio.
Ma al di là di ogni parola c’è un
silenzio, al di là di ogni sguardo
un altro cielo
e tu ridi
camminando sul filo del tuo sogno
e poi cedi, ridendo, ad un pianto improvviso,
mentre dita confuse tra il ritrarsi e il cercare
svelte tornano al braccio
ad impedire il volo.
Umberto Crocetti
per i varchi della mia incostanza
afferrandoti per il braccio
su cui è tatuato il disappunto
e cerco nel tuo volto i segni del
disagio, con un timore dentro
che scorgo ad ogni lampo di coscienza.
Con incroci di addii
ho progettato il calvario della notte
ed ho bendato gli occhi al pensiero che dorme,
perché non senta il dramma
del risveglio.
Ma al di là di ogni parola c’è un
silenzio, al di là di ogni sguardo
un altro cielo
e tu ridi
camminando sul filo del tuo sogno
e poi cedi, ridendo, ad un pianto improvviso,
mentre dita confuse tra il ritrarsi e il cercare
svelte tornano al braccio
ad impedire il volo.
Umberto Crocetti
Il tuo corpo ed io
Abbiamo viaggiato molto
il tuo corpo ed io
Abbiamo immaginato
tutto ciò che un corpo e un io
possono immaginare.
Il mio corpo ed io
abbiamo sognato
il tuo corpo in posizioni
che mai avevi immaginato.
E ora non c’è posto per te
che cosa pretendi
tra me
e il tuo corpo.
Ghiannis Varveris
il tuo corpo ed io
Abbiamo immaginato
tutto ciò che un corpo e un io
possono immaginare.
Il mio corpo ed io
abbiamo sognato
il tuo corpo in posizioni
che mai avevi immaginato.
E ora non c’è posto per te
che cosa pretendi
tra me
e il tuo corpo.
Ghiannis Varveris
Dal cassetto
Volevo appenderla a un muro della stanza.
Ma l’umidità del cassetto l’ha guastata.
Non la metto in un quadro questa foto.
Dovevo conservarla con più cura.
Queste le labbra, questo il viso –
ah, per un giorno solo, per un’ora
solo tornasse quel passato.
Non la metto in un quadro questa foto.
Mi fa soffrire vederla così guasta.
Del resto, se anche non fosse guasta,
che fastidio badare a non tradirmi –
una parola o il tono della voce –
se mai qualcuno mi chiedesse chi era.
Costantino Kavafis
Ma l’umidità del cassetto l’ha guastata.
Non la metto in un quadro questa foto.
Dovevo conservarla con più cura.
Queste le labbra, questo il viso –
ah, per un giorno solo, per un’ora
solo tornasse quel passato.
Non la metto in un quadro questa foto.
Mi fa soffrire vederla così guasta.
Del resto, se anche non fosse guasta,
che fastidio badare a non tradirmi –
una parola o il tono della voce –
se mai qualcuno mi chiedesse chi era.
Costantino Kavafis
Così sono
Così sono. Quando voglio pensare, vedo. Quando voglio tuffarmi dentro la mia anima mi fermo all’improvviso, assorto al limite della
spirale delle scale profonde, guardando dall’alta finestra il sole che
bagna con un commiato fulvo l’agglomerato diffuso dei tetti.
Fernando Pessoa
Fernando Pessoa
Quindi farò tardi
Perchè
ogni volta che scrollo il passato
dalle mie spalle
il suo sole scende su di me,
trafiggendo la mia testa?
chiedo all'acqua,
ai passanti, ai ragazzi che escono di prima mattina:
Perchè mi seguite?
Nel mio cestino non ci sono pagnotte
da spezzare dopo il lavoro,
nessun fiammifero
per illuminare l'oscurità,
nemmeno un fazzoletto
da sventolare in segno di resa.
Pongo domande alla morbida roccia,
ai rami secchi e altezzosi,
alle poche luci che rimangono
dietro tende lontane.
Pongo domande
per evadere questi ricordi
e preoccuparmi di trovare
un'altra strada per raggiungere casa.
Nujum al-Ghanim o Nujoom AlGhanem n. a Dubai, Emirati Arabi Uniti il 24/10/1962
(da "Non ho peccato abbastanza", antologia di poetesse arabe contemporanee)
ogni volta che scrollo il passato
dalle mie spalle
il suo sole scende su di me,
trafiggendo la mia testa?
chiedo all'acqua,
ai passanti, ai ragazzi che escono di prima mattina:
Perchè mi seguite?
Nel mio cestino non ci sono pagnotte
da spezzare dopo il lavoro,
nessun fiammifero
per illuminare l'oscurità,
nemmeno un fazzoletto
da sventolare in segno di resa.
Pongo domande alla morbida roccia,
ai rami secchi e altezzosi,
alle poche luci che rimangono
dietro tende lontane.
Pongo domande
per evadere questi ricordi
e preoccuparmi di trovare
un'altra strada per raggiungere casa.
Nujum al-Ghanim o Nujoom AlGhanem n. a Dubai, Emirati Arabi Uniti il 24/10/1962
(da "Non ho peccato abbastanza", antologia di poetesse arabe contemporanee)
Essere donna
Essere donna, l’ho sempre
considerato un fatto positivo,
un vantaggio,
una sfida gioiosa e aggressiva.
Qualcuno dice che le donne
sono inferiori agli uomini,
che non possono fare
questo e quello.
Ah si? Vi faccio vedere io!
Che cosa c’è da invidiare agli uomini?
Tutto quello che fanno, lo posso fare anch’io.
E in più,
so fare anche un figlio.
Joyce Lussu
considerato un fatto positivo,
un vantaggio,
una sfida gioiosa e aggressiva.
Qualcuno dice che le donne
sono inferiori agli uomini,
che non possono fare
questo e quello.
Ah si? Vi faccio vedere io!
Che cosa c’è da invidiare agli uomini?
Tutto quello che fanno, lo posso fare anch’io.
E in più,
so fare anche un figlio.
Joyce Lussu
(nata Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti Firenze, 8/5/1912 - Roma, 4/11/1998)
(da: Padre padrone padreterno, 1976)
(da: Padre padrone padreterno, 1976)
C'est inutile
Inutile rammendare i ricordi
o cercare lo stesso filo rosso
con cui un giorno cucimmo sogni.
Inutile
rovistare nel dolore di turno
per trovare lo stesso presupposto
che perdona ogni sbaglio.
Tu eri il tarlo
del mio cuore di legno.
Ciliegio accertano i conoscitori dei frutti
perchè ti mangiavo un poco alla volta
come tu entravi in me,
bucandomi nel profondo.
Inutile ora
catalogare i giorni
che non hanno nemmeno il peso
della memoria.
Di quello che fu,
solo tagli e incisioni
strillano sulla corteccia;
ma nel silenzio trafigge la luna
quell'albero senza foglie.
No, nessun innesto.
Usato e provato più volte
questo mio
è un dolore sempre vergine.
Beatrice Niccolai
o cercare lo stesso filo rosso
con cui un giorno cucimmo sogni.
Inutile
rovistare nel dolore di turno
per trovare lo stesso presupposto
che perdona ogni sbaglio.
Tu eri il tarlo
del mio cuore di legno.
Ciliegio accertano i conoscitori dei frutti
perchè ti mangiavo un poco alla volta
come tu entravi in me,
bucandomi nel profondo.
Inutile ora
catalogare i giorni
che non hanno nemmeno il peso
della memoria.
Di quello che fu,
solo tagli e incisioni
strillano sulla corteccia;
ma nel silenzio trafigge la luna
quell'albero senza foglie.
No, nessun innesto.
Usato e provato più volte
questo mio
è un dolore sempre vergine.
Beatrice Niccolai
martedì 28 agosto 2012
L'uno e l'altro
E che le resta alla fine del raccolto?
Queste due mani rugose, questa faccia
dove cova il tempo.
Dentro, ubriaco sul fondo
il rospo batte dolcemente.
Credo che conti venti, ventuno,
ventidue, ventitrè
o lunedì, martedì, mercoledì. Espediente
per dormire, però non dorme.
Fuori c’è vita dappertutto,
e le banderuole girano e le nuvole.
E’ triste essere così solo in questo insieme, questa nobiltà
La morte la preferisce, e la poesia
le tesse già corone. Però è triste
non essere anche questo foglio di carta, queste parole,
tutto ciò che circondandolo lo isola,
e lo definisce,
tutto quello che nel mondo lo condanna
a essere testimone ed alla fine – quando, già pronto -
bestia oscura di un’ascia trasparente.
Queste due mani rugose, questa faccia
dove cova il tempo.
Dentro, ubriaco sul fondo
il rospo batte dolcemente.
Credo che conti venti, ventuno,
ventidue, ventitrè
o lunedì, martedì, mercoledì. Espediente
per dormire, però non dorme.
Fuori c’è vita dappertutto,
e le banderuole girano e le nuvole.
E’ triste essere così solo in questo insieme, questa nobiltà
La morte la preferisce, e la poesia
le tesse già corone. Però è triste
non essere anche questo foglio di carta, queste parole,
tutto ciò che circondandolo lo isola,
e lo definisce,
tutto quello che nel mondo lo condanna
a essere testimone ed alla fine – quando, già pronto -
bestia oscura di un’ascia trasparente.
Julio Cortazar
L'infinito inizia
Disegno della tua voce nella riva del sogno,
scogliere di cuscini con quest’odore di costa vicina,
quando gli animali buttati nella cala, le creature di sentina
odorano l’erba e per i ponti si arrampica
un tremito di pelle e di furioso godimento.
Allora mi capita di non conoscerti, aprire l’occhio di questa lampada
a cui sfuggi coprendoti il viso con i capelli,
ti guardo e non so più
se ancora una volta affiori dalla notte
con il disegno esatto di quest’altra notte della tua pelle,
con il ventre che palpita la sua respirazione soave
abbandonata appena nella nostra tiepida spiaggia
da un leggero colpo di risacca.
Ti riconosco, salgo per il profumo dei tuoi capelli
fino a questa voce che nuovamente mi sollecita,
contempliamo
nello stesso tempo la doppia isola sulla quale siamo
naufraghi e paesaggio, piede e arena,
anche tu mi sollevi dal nulla
con il tuo sguardo errabondo sul mio petto sul mio sesso,
la carezza che inventa nella mia cintura il suo galoppo di puledri.
Nella luce sei ombra e io sono luce, sono la luce della tua ombra
e tu gettata nelle alghe fingi l’ombra del mio corpo,
quando la sua angusta fronte ferisce le pietre e proietta
come un fragore di voragine all’altro lato, un territorio
che inutilmente investe e brama.
Ombra della mia luce, come raggiungerti,
come inguainare questo balenio nella tua notte!
Allora c’è un istante segreto
in cui gli occhi cercano negli occhi un volo di gabbiani,
qualcosa che sia orbita e richiamo,
una consacrazione e un labirinto di pipistrelli,
ciò che sorgeva nell’oscurità come un gemere a tentoni,
una pelle che si raffreddava e scendeva, un ritmo rotto,
si muta in convivenza, parola d’ordine, strappo
del vento che si infrange contro la vela bianca,
il grido della vedetta ci esalta,
corriamo insieme fino a che la cresta
dell’onda zenitale ci travolge
in una interminabile cerimonia di spume,
e ricominciano i naufragi, il lento nuoto verso le spiagge,
il sogno bocconi fra meduse morte e i cristalli di sale
dove arde il mondo.
scogliere di cuscini con quest’odore di costa vicina,
quando gli animali buttati nella cala, le creature di sentina
odorano l’erba e per i ponti si arrampica
un tremito di pelle e di furioso godimento.
Allora mi capita di non conoscerti, aprire l’occhio di questa lampada
a cui sfuggi coprendoti il viso con i capelli,
ti guardo e non so più
se ancora una volta affiori dalla notte
con il disegno esatto di quest’altra notte della tua pelle,
con il ventre che palpita la sua respirazione soave
abbandonata appena nella nostra tiepida spiaggia
da un leggero colpo di risacca.
Ti riconosco, salgo per il profumo dei tuoi capelli
fino a questa voce che nuovamente mi sollecita,
contempliamo
nello stesso tempo la doppia isola sulla quale siamo
naufraghi e paesaggio, piede e arena,
anche tu mi sollevi dal nulla
con il tuo sguardo errabondo sul mio petto sul mio sesso,
la carezza che inventa nella mia cintura il suo galoppo di puledri.
Nella luce sei ombra e io sono luce, sono la luce della tua ombra
e tu gettata nelle alghe fingi l’ombra del mio corpo,
quando la sua angusta fronte ferisce le pietre e proietta
come un fragore di voragine all’altro lato, un territorio
che inutilmente investe e brama.
Ombra della mia luce, come raggiungerti,
come inguainare questo balenio nella tua notte!
Allora c’è un istante segreto
in cui gli occhi cercano negli occhi un volo di gabbiani,
qualcosa che sia orbita e richiamo,
una consacrazione e un labirinto di pipistrelli,
ciò che sorgeva nell’oscurità come un gemere a tentoni,
una pelle che si raffreddava e scendeva, un ritmo rotto,
si muta in convivenza, parola d’ordine, strappo
del vento che si infrange contro la vela bianca,
il grido della vedetta ci esalta,
corriamo insieme fino a che la cresta
dell’onda zenitale ci travolge
in una interminabile cerimonia di spume,
e ricominciano i naufragi, il lento nuoto verso le spiagge,
il sogno bocconi fra meduse morte e i cristalli di sale
dove arde il mondo.
Julio Cortazar
Il tuo nome è il sapore del melograno
Sei la benvenuta,
la pietra originale dell’allegria,
la danza assorta della statua
che gli uccelli sentono e disperdono.
la pietra originale dell’allegria,
la danza assorta della statua
che gli uccelli sentono e disperdono.
Quando nella sua coscia rossa i denti si slacciano
al primo mezzogiorno della terra,
fare il tuo nome è il sapore della melagranata.
al primo mezzogiorno della terra,
fare il tuo nome è il sapore della melagranata.
Il tuo cuore inventa le mappe colorate,
nei tuoi occhi si hamacano i globi della domenica,
e quando sei in me,
la notte si apre il petto,
il sangue delle stelle cala fino ai tuoi capelli,
al tuo nome, alla tua violenza.
nei tuoi occhi si hamacano i globi della domenica,
e quando sei in me,
la notte si apre il petto,
il sangue delle stelle cala fino ai tuoi capelli,
al tuo nome, alla tua violenza.
Questa infinita sete, berti, disseccarti,
cisterna di allegria, sperpero del grido
che le labbra annegano in delirio.
cisterna di allegria, sperpero del grido
che le labbra annegano in delirio.
Chi inventò il futuro,
la sua macchina di sale, la sua rosa vuota.
Questa pelle delle palpebre mi separa dal mondo
però tu stai in lui, e più dentro vivi.
la sua macchina di sale, la sua rosa vuota.
Questa pelle delle palpebre mi separa dal mondo
però tu stai in lui, e più dentro vivi.
Julio Cortazar da “Le ragioni della collera”
Emozione d'autunno

E' arrivato l'autunno, coprimi il cuore con qualcosa,
con l'ombra di un albero oppure meglio con l'ombra tua.
Ho paura a volte di non rivederti mai più,
che mi cresceranno ali sottili fino alle nuvole,
che ti nasconderai dentro un occhio straniero,
e lui si chiuderà con la foglia di assenzio.
E allora mi avvicino alle pietre e taccio,
prendo le parole e le annego nel mare
fischio alla luna, la faccio spuntare e la trasformo
in un grande amore.
Nichita Stanescu 1933-1983
Amare
Io voglio amare, amar perdutamente!
Amar sol per amare, qui… altrove…
Più Questo e Quello, l’altro e tutto il mondo…
Amare! Amare! E non amar nessuno!
Ricordare? Dimenticare? Indifferente!..
Prendere o lasciare? E’ bene? E’ male?
Chi dice che si può amar qualcuno
per la vita intera è perchè mente!
C’è una sola primavera in ogni vita:
E si deve cantar così fiorita,
Perchè la voce che Dio ci ha dato è per cantare!
E se un dì dovrò essere polvere, cenere e nulla,
Che la mia notte si trasformi in alba,
Ch’io sappia perdermi… per ritrovarmi…
Florbela Espanca
Amar sol per amare, qui… altrove…
Più Questo e Quello, l’altro e tutto il mondo…
Amare! Amare! E non amar nessuno!
Ricordare? Dimenticare? Indifferente!..
Prendere o lasciare? E’ bene? E’ male?
Chi dice che si può amar qualcuno
per la vita intera è perchè mente!
C’è una sola primavera in ogni vita:
E si deve cantar così fiorita,
Perchè la voce che Dio ci ha dato è per cantare!
E se un dì dovrò essere polvere, cenere e nulla,
Che la mia notte si trasformi in alba,
Ch’io sappia perdermi… per ritrovarmi…
Florbela Espanca
Nei fiumi a nord del futuro
Nei fiumi a nord del futuro
io lancio la rete che tu
esitante aggravi
con ombre scritte
da pietre.
Paul Celan
io lancio la rete che tu
esitante aggravi
con ombre scritte
da pietre.
Paul Celan
Gli anni
Di quel che ero allora non resta più niente: appena uomo, ero ancora un ragazzo. Lo sapevo da un pezzo, ma tutto avvenne alla fine dell'inverno, una sera e un mattino. Stavamo insieme, quasi nascosti, in una stanza che dava su un viale. Silvia mi disse, quella notte, che dovevo andarmene, o andarsene lei -non avevamo più niente da fare insieme. La supplicai di lasciare che provassimo ancora; ero disteso al suo fianco e l'abbracciavo. Lei mi disse: - A che scopo? - Parlavamo a voce bassa, nel buio. Poi Silvia s'addormentò, e io tenni sino al mattino un ginocchio contro il suo.
Comparve il mattino com'era sempre comparso, e faceva molto freddo; Silvia aveva i capelli negli occhi e non si muoveva. Nella penombra io guardavo il tempo passare, sapevo che passava e correva, e che fuori c'era la nebbia. Tutto il tempo che ero stato con Silvia in quella stanza, era come una sola giornata e una notte, che adesso finiva al mattino. Allora capii che non sarebbe mai piu' uscita con me nella nebbia fresca. Era meglio se mi vestivo e me ne andavo senza svegliarla. Ma adesso avevo in mente ancora una cosa da chiederle. Aspettai, cercando di assopirmi.
Quando fu sveglia, Silvia mi fece un sorriso. Riprendemmo a parlare. Lei disse: - E' bello essere sinceri come noi. - Oh Silvia, - bisbigliai, - che cosa farò uscendo di qui? dove andrò?- Era questo che avevo da chiederle. Senza staccar la nuca dal cuscino, lei sorrise di nuovo, beatamente. - Sciocco, -disse, - andrai dove vuoi. Non è bello esser liberi? Conoscerai tante ragazze, farai tutte le cose che vuoi. Parola, che t'invidio.
Adesso il mattino riempiva la stanza e non c'era un po' di calore che nel letto. Silvia aspettava paziente. - Tu sei come una prostituta, - le dissi, - e lo sei sempre stata.
Silvia non aprì gli occhi. - Ora che lo hai detto stai meglio? - mi disse.
Allora me ne stetti come se lei non ci fosse, e guardavo il soffitto e piangevo senza rumore. Le lacrime mi riempivano gli occhi e colavano sul guanciale. Non valeva la pena di farmene accorgere. Tanto tempo è passato, e adesso so che quelle lacrime mute furon l'unica cosa da uomo che feci con Silvia; so che piangevo non per lei ma perchè avevo intravisto il mio destino. Di quel che ero allora non resta piu' niente. Resta soltanto che avevo capito chi sarei stato in avvenire.
Poi Silvia mi disse: - Adesso basta. Devo alzarmi.
Ci alzammo insieme, tutt'e due. Non la vidi vestirsi. Fui presto in piedi, alla finestra, e guardavo le piante trasparire. Dietro la nebbia c'era il sole, il sole che tante volte aveva intiepidito la stanza. Anche Silvia fu presto vestita, e mi chiese se non portavo con me la mia roba.
Le dissi che prima volevo scaldarmi il caffè, e accesi il fornello. Silvia, seduta alla sponda del letto, si mise a rifarsi le unghie. In passato se l'era sempre rifatte al tavolino. Sembrava soprapensiero e i capelli le cadevano continuamente negli occhi. Allora dava scosse con la testa e si liberava. Io girai per la stanza e raccolsi la roba. Ne feci un mucchio su una sedia e a un tratto Silvia saltò in piedi e corse a spegnere il caffè che versava.
Poi tirai la valigia e ci misi la roba. Intanto, dentro mi sforzavo di raccogliere tutti i ricordi spiacevoli che avevo di Silvia - le futilità, i malumori, le parole irritanti, le rughe. Questo portavo via dalla sua stanza. Quel che lasciavo era una nebbia.
Quande'ebbi finito era pronto il caffè. Lo prendemmo in piedi, accanto al fornello. Silvia disse qualcosa, che quel giorno sarebbe andata da un tale, a parlare di una faccenda. Poco dopo, deposi la tazza e me ne andai con la valigia. Fuori la nebbia e il sole accecavano.
Cesare Pavese
Comparve il mattino com'era sempre comparso, e faceva molto freddo; Silvia aveva i capelli negli occhi e non si muoveva. Nella penombra io guardavo il tempo passare, sapevo che passava e correva, e che fuori c'era la nebbia. Tutto il tempo che ero stato con Silvia in quella stanza, era come una sola giornata e una notte, che adesso finiva al mattino. Allora capii che non sarebbe mai piu' uscita con me nella nebbia fresca. Era meglio se mi vestivo e me ne andavo senza svegliarla. Ma adesso avevo in mente ancora una cosa da chiederle. Aspettai, cercando di assopirmi.
Quando fu sveglia, Silvia mi fece un sorriso. Riprendemmo a parlare. Lei disse: - E' bello essere sinceri come noi. - Oh Silvia, - bisbigliai, - che cosa farò uscendo di qui? dove andrò?- Era questo che avevo da chiederle. Senza staccar la nuca dal cuscino, lei sorrise di nuovo, beatamente. - Sciocco, -disse, - andrai dove vuoi. Non è bello esser liberi? Conoscerai tante ragazze, farai tutte le cose che vuoi. Parola, che t'invidio.
Adesso il mattino riempiva la stanza e non c'era un po' di calore che nel letto. Silvia aspettava paziente. - Tu sei come una prostituta, - le dissi, - e lo sei sempre stata.
Silvia non aprì gli occhi. - Ora che lo hai detto stai meglio? - mi disse.
Allora me ne stetti come se lei non ci fosse, e guardavo il soffitto e piangevo senza rumore. Le lacrime mi riempivano gli occhi e colavano sul guanciale. Non valeva la pena di farmene accorgere. Tanto tempo è passato, e adesso so che quelle lacrime mute furon l'unica cosa da uomo che feci con Silvia; so che piangevo non per lei ma perchè avevo intravisto il mio destino. Di quel che ero allora non resta piu' niente. Resta soltanto che avevo capito chi sarei stato in avvenire.
Poi Silvia mi disse: - Adesso basta. Devo alzarmi.
Ci alzammo insieme, tutt'e due. Non la vidi vestirsi. Fui presto in piedi, alla finestra, e guardavo le piante trasparire. Dietro la nebbia c'era il sole, il sole che tante volte aveva intiepidito la stanza. Anche Silvia fu presto vestita, e mi chiese se non portavo con me la mia roba.
Le dissi che prima volevo scaldarmi il caffè, e accesi il fornello. Silvia, seduta alla sponda del letto, si mise a rifarsi le unghie. In passato se l'era sempre rifatte al tavolino. Sembrava soprapensiero e i capelli le cadevano continuamente negli occhi. Allora dava scosse con la testa e si liberava. Io girai per la stanza e raccolsi la roba. Ne feci un mucchio su una sedia e a un tratto Silvia saltò in piedi e corse a spegnere il caffè che versava.
Poi tirai la valigia e ci misi la roba. Intanto, dentro mi sforzavo di raccogliere tutti i ricordi spiacevoli che avevo di Silvia - le futilità, i malumori, le parole irritanti, le rughe. Questo portavo via dalla sua stanza. Quel che lasciavo era una nebbia.
Quande'ebbi finito era pronto il caffè. Lo prendemmo in piedi, accanto al fornello. Silvia disse qualcosa, che quel giorno sarebbe andata da un tale, a parlare di una faccenda. Poco dopo, deposi la tazza e me ne andai con la valigia. Fuori la nebbia e il sole accecavano.
Cesare Pavese
Forse un mattino andando
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Eugenio Montale
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Eugenio Montale
lunedì 27 agosto 2012
Abyssus Abyssum
Che poche cose danno pace all’anima
prima che sarà tardi,
con il tempo che affrettando il passo
arretra…
Le spire del serpente del sesso
stringono il midollo spinale a un tal segno
che bluastri si hanno anche i pensieri…
L’albero nel paradiso era solo di un cubito più alto
ma l’intero paradiso era più alto:
una cima senza fondo…
Vladimir Holan
prima che sarà tardi,
con il tempo che affrettando il passo
arretra…
Le spire del serpente del sesso
stringono il midollo spinale a un tal segno
che bluastri si hanno anche i pensieri…
L’albero nel paradiso era solo di un cubito più alto
ma l’intero paradiso era più alto:
una cima senza fondo…
Vladimir Holan
A notte fonda
È l'amore come un'ironia
tra il corpo e l'anima che non c'è,
ed è dunque l'amore come un'ironia
tra il corpo e il corpo?
Per il terrore di fronte all'atto
c'è, di colpo, un bimbo.
chi negò l'esistenza del peccato originale,
non capisce perché c'è la morte...
Vladimir Holan
tra il corpo e l'anima che non c'è,
ed è dunque l'amore come un'ironia
tra il corpo e il corpo?
Per il terrore di fronte all'atto
c'è, di colpo, un bimbo.
chi negò l'esistenza del peccato originale,
non capisce perché c'è la morte...
Vladimir Holan
Come
È che mancasti il primo passo
di un piede scalzo. Che le tue cosce
per sempre chiuse restano al seme dell’uomo.
Che vita vivendo a vanità infinita
tempo non avrai nemmeno per la morte.
Ma che forse ami la musica, perché con essa
tu puoi cambiare nome
per la notte più lunga dei tuoi sensi,
come vergine in cuore avendo l’intrigo
e come donna in cuore avendo omicidio…
Vladimir Holan
di un piede scalzo. Che le tue cosce
per sempre chiuse restano al seme dell’uomo.
Che vita vivendo a vanità infinita
tempo non avrai nemmeno per la morte.
Ma che forse ami la musica, perché con essa
tu puoi cambiare nome
per la notte più lunga dei tuoi sensi,
come vergine in cuore avendo l’intrigo
e come donna in cuore avendo omicidio…
Vladimir Holan
Confini
Forse non avresti dovuto ricordarlo,
poiché non è certo che fossimo laggiù...
Pare che fossero soltanto i confini dell'amore
a restituire te a te sola
e me a me solo, e non sappiamo
se tacquero o se pure eran muti..
Ci sono momenti in cui persino satana
rinuncia al nostro cuore soltanto per questo:
perché vogliamo tutto esprimere...
Vladimir Holan
poiché non è certo che fossimo laggiù...
Pare che fossero soltanto i confini dell'amore
a restituire te a te sola
e me a me solo, e non sappiamo
se tacquero o se pure eran muti..
Ci sono momenti in cui persino satana
rinuncia al nostro cuore soltanto per questo:
perché vogliamo tutto esprimere...
Vladimir Holan
L'ora della partenza
L’ora della partenza suona quando
si oscura il giardino e il vento passa,
crepita il terreno e le porte sbattono, quando
la notte ogni nodo scioglie.
L’ora della partenza suona quando
gli alberi sembrano ispirati
come se tutto in loro germinasse.
Suona quando nel fondo degli specchi
mi è strana e distante la mia faccia
e da me si libera la mia vita.
Sophia de Mello Breyner Andresen
si oscura il giardino e il vento passa,
crepita il terreno e le porte sbattono, quando
la notte ogni nodo scioglie.
L’ora della partenza suona quando
gli alberi sembrano ispirati
come se tutto in loro germinasse.
Suona quando nel fondo degli specchi
mi è strana e distante la mia faccia
e da me si libera la mia vita.
Sophia de Mello Breyner Andresen
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