…Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare… io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.

...solo un sogno, un'emozione...una nuvola...solo un alito di vento che ti sfiora, solo l'eco dei tuoi passi nella sera...

lunedì 30 settembre 2013

Attimo

Cammino sul pendio d’una collina verde.
Erba, tra l’erba fiori
come in un quadretto per bambini.
Il cielo annebbiato, già tinto d’azzurro.
La vista si distende in silenzio sui colli intorno.
Come se qui mai ci fossero stati cambriano e siluriano,
rocce ringhianti l’una all’altra,
abissi gonfiati,
notti fiammeggianti
e giorni nei turbini dell’oscurità.
Come se di qua non fossero passate pianure
in preda a febbri maligne,
brividi glaciali.
Come se solo altrove fossero ribolliti i mari
e si fossero rotte le sponde degli orizzonti.
Sono le nove e trenta, ora locale.
Tutto è al suo posto e in garbata concordia.
Nella valletta un piccolo torrente in quanto tale.
Un sentiero in forma di sentiero da sempre a sempre.
Un bosco dal sembiante di bosco pei secoli dei secoli, amen,
e in alto uccelli in volo nel ruolo di uccelli in volo.
Fin dove si stende la vista, qui regna l’attimo.
Uno di quegli attimi terreni
che sono pregati di durare.
Wisława Szymborska

Un tempo

Un tempo sapevamo il mondo a menadito:
– era così piccolo da stare fra due mani,
così facile che per descriverlo bastava un sorriso,
semplice come l’eco di antiche verità nella preghiera.
La storia non accoglieva con squilli di fanfara:
ha gettato negli occhi sabbia sporca.
Davanti a noi strade lontane e cieche,
pozzi avvelenati, pane amaro.
Il nostro bottino di guerra è la conoscenza del mondo:
– è così grande da stare fra due mani,
così difficile che per descriverlo basta un sorriso,
strano come l’eco di antiche verità nella preghiera.
Wisława Szymborska - 1945

Fui già qui un tempo

Fui già qui un tempo,
Ma quando e come non so.
Conosco quell'erba oltre la soglia,
La fragranza che penetra dolce,
Il sospirato suono, i luccichii alla riva.
Mi sei appartenuto già -
Quanto tempo fa, non so:
Ma, quando la rondine s'alzò,
Si volse il tuo collo al punto
ch'un velo cadde, - che sempre lo seppi
Dante Gabriele Rossetti

sabato 28 settembre 2013

Ho bisogno della luna

Ma non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora. Semplicemente mi sono sentito all'improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti. [...] È vero, ma non lo sapevo prima. Adesso lo so. Questo mondo così com'è fatto non è sopportabile. Ho bisogno della luna, o della felicità o dell'immortalità, di qualcosa che sia demente forse, ma che non sia di questo mondo.
Caligola – A. Camus

Sentirsi senza toccarsi...


giovedì 26 settembre 2013

Telepatia

Da qualche tempo preferisco la comunicazione telepatica a quella verbale. Lo so che telepatia significa trasmissione del pensiero a distanza. Io invece la intendo nel senso che qualsiasi trasmissione del pensiero, che non si avvalga dei sensi, e neanche della parola, sia telepatica. In questa versione, che importanza ha la distanza? Può essercene molta, può essercene poca, può non essercene nessuna. Il caso più frequente di telepatia a breve distanza, talvolta, nei momenti più appassionati, a nessuna distanza, — è quello amoroso. Due veri amanti non hanno nessun bisogno di aprire bocca per comunicarsi reciprocamente quel che vogliono. Per la sua natura esemplare questo è il caso che meglio serve a spiegare quel che intendo. Per comunicare senza parole, solo col pensiero (da lontano o da vicino, lo ripeto, non importa), non c’è bisogno di poteri paranormali ma di una fortissima carica di simpatia, di una grande intimità e di una dedizione assoluta. La telepatia è insomma, in buona sostanza, un atto d’amore. Comunicare direttamente il pensiero si può, se tra due soggetti s’apre un canale di comunicazione che prescinde dagli strumenti utilizzati. Affinché il canale si apra, bisogna che i soggetti siano tutti e due disponibili, e senza remore. Il caso, specie fra gli umani, è raro, ma non impossibile.
Storie di animali e altri viventi, Alberto Asor Rosa

Non c’è ancora abbastanza spazio in me stessa

Non c’è ancora abbastanza spazio in me stessa per far posto alle molte contraddizioni, mie e di questa vita.
Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. Non devo volere le cose, devo lasciare che le cose si compiano in me.
Non sono mai le circostanze esteriori,è sempre il sentimento interiore – depressione, insicurezza,o altro – che dà a queste circostanze un’apparenza triste o minacciosa.
Non voglio essere niente di così speciale, voglio solo cercare di essere quella che in me chiede di svilupparsi pienamente.
Ogni volta vorresti rifare il mondo, invece di goderlo com’è.
È un atteggiamento alquanto dispotico.
Etty Hillesum, Diario

Guardami dritto negli occhi

Guardami dritto negli occhi e chiedimi di nuovo, come hai fatto nella lettera, se per caso i muscoli dorsali della mia anima non si stiano atrofizzando e se tu non stia diventando troppo pesante per la mia illusione. Chiedimi dell’altro, chiedimi quali sono le mie vere sensazioni quando ti apri così davanti a me. Non rinunciare, aiutami a combattere il gemello nero che c’è in me, perché da solo non ne sono capace, non posso vincerlo. Chiedimi di affrontare senza riserve i miei sentimenti verso questa tua ferita aperta che mi risucchia al suo interno, richiudendosi sopra di me. Chiedimi di provare il dolore di un altro, di sentire dove fa male, in quale punto del corpo.
David Grossman – Che tu sia per me il coltello

...

Eccoti lì,
dentro di me,
che empi il mio tempo e i tempi.
Pier Paolo Pasolini

mercoledì 25 settembre 2013

Sonetto 3 (Quando penso che la mia più miserevole impronta)

Quando penso che la mia più miserevole impronta
Resterà nel Tempo più che tutto il mio essere,
Che gli occhi futuri mi percepiranno
più chiaro in questa pagina vergata che nell’anima mia;
E quando io immagino di mettermi a rimirare
I miei buoni lettori di un qualche giorno futuro,
Riconoscenti per qualche idea del mio essere
Che non fa neppure rima con la mia anima perduta
Una rabbia per la stessa essenza del mondo,
Che questo fa, o sol’anche questo rende pensabile,
Avvinghia l’anima mia per la gola e la rotola
Negli orrori notturni di disperate ipotesi,
E io divento un puro sentimento di furia
Cui mancan parole che, perse, la placherebbero.
Trentacinque sonetti – Fernando Pessoa

Due in uno

La rabbia l'affanno di non riuscire
a possedersi interamente mai -
ma nel volo di quella folaga che sale
improvvisa
per la radente frazione di un attimo
nei miei occhi nei tuoi
una stessa vibrazione di luce.
Donatella Bisutti

Non leggo più

Non leggo più; vorrei aprire un libro
e trovarvi esibita tutta la scienza…
Almeno poter credere che, se leggessi,
se per lunghe ore leggessi e leggessi,
mi resterebbe alla fine qualcosa
dell’essenziale del mondo, che salirei
per lo meno più vicino
al Mistero… E, anche senza raggiungerlo,
almeno lo avrei sfiorato…
Come un bambino che simula di salire
i gradini che ha dipinto per terra…
Fernando Pessoa, Faust

Charles Bukowski - Quando Dio creò l'amore - Lettura di Giancarlo Cattaneo

Quando Dio creò l'amore non ci ha aiutato molto
quando Dio creò i cani non ha aiutato molto i cani
quando Dio creò le piante fu una cosa nella norma
quando Dio creò l'odio ci ha dato una normale cosa utile
quando Dio creò Me creò Me
quando Dio creò la scimmia stava dormendo
quando creò la giraffa era ubriaco
quando creò i narcotici era su di giri
e quando creò il suicidio era a terra

Quando creò te distesa a letto
sapeva cosa stava facendo
era ubriaco e su di giri
e creò le montagne e il mare e il fuoco
allo stesso tempo

Ha fatto qualche errore
ma quando creò te distesa a letto
fece tutto il Suo Sacro Universo.

Charles Bukowski

Ophelia

I
Sull’onda calma e nera dove dormono le stelle
La bianca Ofelia ondeggia come un grande giglio,
Ondeggia molto piano, stesa nei suoi lunghi veli…
Si sentono dai boschi lontani grida di caccia.
Sono più di mille anni che la triste Ofelia
Passa, bianco fantasma, sul lungo fiume nero;
Sono più di mille anni che la sua dolce follia
Mormora una romanza alla brezza della sera.
Il vento le bacia il seno e distende a corolla
I suoi grandi veli, teneramente cullati dalle acque;
I salici fruscianti piangono sulla sua spalla,
Sulla sua grande fronte sognante s’inclinano i fuscelli.
Le ninfee sfiorate le sospirano attorno;
A volte lei risveglia, in un ontano che dorme,
Un nido da cui sfugge un piccolo fremer d’ali:
Un canto misterioso scende dagli astri d’oro.
II
O pallida Ofelia! Bella come la neve!
Tu moristi bambina, rapita da un fiume!
I venti piombati dai grandi monti di Norvegia
Ti avevano parlato dell’aspra libertà;
E un soffio, torcendoti la gran capigliatura,
Al tuo animo sognante portava strani fruscii;
Il tuo cuore ascoltava il canto della Natura
Nei gemiti dell’albero e nei sospiri della notte;
L’urlo dei mari folli, immenso rantolo,
Frantumava il tuo seno fanciullo, troppo dolce e umano;
E un mattino d’aprile, un bel cavaliere pallido,
Un povero pazzo, si sedette muto ai tuoi ginocchi.
Cielo! Amore! Libertà! Quale sogno, o povera Folle!
Ti scioglievi per lui come la neve al fuoco:
Le tue grandi visioni ti strozzavan le parole
E il terribile Infinito sconvolse il tuo sguardo azzurro!
III
E il Poeta dice che ai raggi delle stelle
Vieni a cercare, la notte, i fiori che cogliesti,
E che ha visto sull’acqua, stesa nei suoi lunghi veli,
La bianca Ofelia come un gran giglio ondeggiare.
Jean Arthur Rimbaud

martedì 24 settembre 2013

Non rinunciare mai

Non rinunciare mai. Hai tante cose dentro di te e la più nobile di tutte, il senso della felicità. Ma non aspettarti la vita da un uomo. Per questo tante donne s’ingannano. Aspettala da te stessa. Non sarai mai felice se continui a cercare in che cosa consista la felicità. Non vivrai mai se stai cercando il significato della vita. Come rimedio alla vita di società suggerirei la grande città. Ai giorni nostri, è l’unico deserto alla portata dei nostri mezzi. Non conosco che un solo dovere: quello di amare. Nel bel mezzo dell’inverno ho infine imparato che vi era in me un’invincibile estate.
Albert Camus

Liberi...

Nessuna donna è stata più vicina al suo compagno di quanto io lo sia, sempre e assolutamente ossa delle sue ossa, carne della sua carne. Io non conosco mai noia in compagnia di Edward, e neanche lui, almeno non più di quanto ognuno di noi due ne provi nei riguardi delle pulsazioni del cuore che batte nei nostri petti; di conseguenza, stiamo sempre insieme. Essere insieme è per noi essere allo stesso tempo liberi come fossimo da soli, e felici come se fossimo in compagnia.
Jane Eyre, Charlotte Brontë

La durata dell'amore

Distesa sopra di me
sei più lieve della neve.
E un suono di clarino
rende la sera più breve.
Ledo Ivo

La venditrice di lampade e nasi

In quella città quasi nessuno aveva le finestre. Le case erano cubi neri. Non si conosceva la luce. Le strade erano percorse da fiumi di tenebre perché l’atmosfera contaminata formava uno scudo impenetrabile per le carezze del sole. Gli abitanti di questo mondo non avevano il naso. Sentendosi felici, abitavano nell’ ombra, preoccupati solo di lavorare per riempire lo stomaco e soddisfare i loro desideri sessuali. Un bel giorno comparve un’anziana che gridava: “Vendo una lampada e un naso!”. Un tizio che passava di lì si sentì attratto da quella strana signora: i suoi occhi brillavano al buio come due lucciole. Comprò la lampada e il naso. Quando stava per pagare, l’anziana non volle i suoi soldi. L’uomo tornò in tutta fretta nel suo cubicolo. Appena ebbe chiuso la porta, un odore insopportabile gli invase le fosse nasali fino a scuotergli il cervello. Allora accese la lampada: quella che aveva sempre creduto una stanza bella, pulita, tranquilla, era in realtà un nido di ragni, spazzatura, cibi imputriditi, mobili tarlati, strati di unto, escrementi di ratto. Non riuscì più a vivere in quel posto schifoso! Vagò per le strade finché  incontrò di nuovo la vecchia signora. “Strega, cos’hai fatto alla mia casa elegante? Prima vivevo bene, come tutti gli altri, ma appena ho messo il naso e ho acceso la lampada, quei due oggetti hanno cambiato il mio mondo. Perché tanta cattiveria?” L’anziana signora rispose: “Il tuo mondo non è cambiato: è sempre stato così! Prima non te ne accorgevi e credevi di stare bene in un posto che presto o tardi ti avrebbe distrutto. Quando si acquisiscono organi nuovi e si accende la luce, soffriamo perché riusciamo a vedere noi stessi come siamo davvero e non come crediamo di essere. Adesso che sai com’è la tua realtà, devi aprire le finestre, uccidere i parassiti, pulire le pareti, disinfettare la tua casa e solo allora potrai essere felice. E a quel punto dovrai dare la lampada e il naso a qualcun’ altro, proprio come ho fatto io.”
  Alejandro Jodorowsky

Credo

Fu così che ti costruii, trasportando in carne i miei sogni
con lo splendore della luna donandoti una pelle d’argento
collocando un occhio vivo nelle tue mille mani che implorano
affinchè duplicata in quattro tu fossi il calice della mia tavola
e nelle tue innumerevoli labbra si tatuasse il nuovo credo.
La tua voce senza fine che entra nel mondo come un’ostia rossa
fino a paralizzare l’infinito specchio in un’eterna immagine
 Alejandro Jodorowsky

lunedì 23 settembre 2013

I numeri primi...

I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per sè stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci. In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi, quasi vicini, perchè fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l’uno all’altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finchè non li si scopre.
Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero. A lei non l’avava mai detto.
Paolo Giordano da “La solitudine dei numeri primi”

La tradita: solo un contorno senza forza

Lei è dunque stata un'altra per otto anni
senza saperlo.
Ogni giorno c'è stato un equivoco.
Si aggrappa al lavandino. La stanza da bagno vira di bordo.
L'inaudito non è nel guardare all'improvviso
in un entusiasmo inflessibile come quello degli insetti.
L'inaudito è vedere un pomeriggio
scambiati otto anni della propria vita.
I figli hanno saputo. E sono stati risparmiati. Questo amore
è appartenuto a tutta la cerchia dei conoscenti
una comunanza per piena di antenne pendolanti.
Solo lei ne è rimasta fuori.
Il prezzo per la calma di tutti splendente come maggiolini
è la sua esistenza falsificata.
Si guarda il volto trasparente nello specchio.
È del tutto estraneo.
Le mani che diventano bianche intorno al lavandino
non più del suo proprio biancore
non sono sue. Lei non può trattenersi.
E vomita tutti i ricordi menzogneri:
questo volto semichiaro su di lei
sciolto in desiderio e assicurazioni
la sua repentina giovinezza - una gita sulla neve e risate
questi momenti maturi nel cerchio di luce del tavolo da pranzo
quando la voce di lui rendeva reale l'appartamento.
Lei vomita tutta questa vita falsa
questi giornate dal tanfo di gusci di gambero.
Infine siede sul pavimento del bagno
del tutto messa a nudo. Nulla è rimasto degli otto anni.
Solo il sapore di metallo in bocca.
Dovete restituirmi i miei anni!
I bambini se la cavano, inaspettatamente adulti, imbarazzati
dalla retorica, da questi resti di disperazione'
che nemmeno ha parole proprie.
E gli occhi dei vicini nelle maioliche del bagno!
Lei siede avvolta intorno al suo vuoto doloroso.
Cerca di proteggere la sua povertà con la schiena contro tutti quelli che hanno saputo.

Kjell Espmark

A fianco del suo banco c'è il banco

Lei ascolta con tutto il corpo.
Le labbra dell'insegnante si muovono. E lei sente
ma manca tuttavia le sue parole di qualche millimetro
come quando si cerca di prendere una pietra nell'acqua.
C'è un altro mondo, a un palmo di distanza dal suo.
Proprio vicino alla carta della Svezia
pende una carta sulla Svezia -
stesse città e stessi lembi di laghi
stessi campi gialli e verdi
eppure un regno irraggiungibile che risplende.
Adesso discutono, si muovono le bocche.
Certo lei sente. Ma ciò che si dice veramente
passa scoppiettando oltre le sue orecchie
verso chi abita nel paese giusto.

Eppure li può catturare nella pausa
quando raffreddata racconta come presero il padre
che lottava, tirato in ogni direzione.
E la madre che cercava di nascondersi tra le mani.
Tutto viene venduto per venti risate cianciate.
Racconta a gambe aperte, con le calze calate.

Ma nulla viene tolto al suo successo.
Quando poi prende posto nella loro conversazione
incontra quel diaframma sottile
che separa il mondo dal mondo
e quel sorriso che fà così male
perché è fatto per non essere notato.
Se potesse infiltrarsi nella loro Svezia
e cautamente sedersi in mezzo a loro
allora la sedia non diventerebbe una sedia
e lei stessa non diventerebbe reale?
Un passo a lato, non servirebbe di più.
Ma non trova neanche una parola per quel passo.
E la classe sa: lei non la troverà mai.
La lingua tra queste quattro mura
sente la sua vita che verrà.
Lei può lottare fino a smembrarsi tirata in ogni direzione.
In questa grammatica gentilmente inflessibile
ciascuno ha il suo posto finale. 

Kjell Espmark

...

A colui il quale non avrà saputo che amare corpi, forme, apparenze…la morte toglierà tutto.
Chi ama le Anime, le ritroverà.
Victor Hugo

Gabriele D'Annunzio a Giuseppina Giorgi Mancini

Voglio che tornando tu trovi una paroletta del tuo amico stasera.
Ho un desiderio desolato di te stasera. Ahimè stasera e sempre.
Ma stasera il desiderio è di qualità nuova.
È come un tremito infinitamente lungo e tenue.
Sono come un mare in cui tremino tutte le gocciole,
tremano tutte le ali dell'anima,
tremano tutte le fibre dei nervi,
tremano tutti i fiori della primavera
e anche le nuvole del cielo
e anche le stelle della notte
e anche la piccola luna trema.
Trema sui tuoi capelli che sono una schiuma bionda.
Ho la bocca piena delle tue spalle,
che sono ora come un fuoco di neve tiepida disciolta in me.
Godo e soffro.
Ti ho dentro di me e vorrei tuttavia sentirti sopra di me.
Non mi hai lasciato tanta musica partendo.
Stanotte tienimi sul tuo cuore,
avvolgimi nel tuo sogno,
incantami col tuo fiato,
sii sola con me solo.
Oh melodia melodia...
Tremano tutte le gocciole del mare.
Gabriele D'Annunzio

giovedì 12 settembre 2013

Miracolo a colazione

Alle sei aspettavamo il caffè,
il caffè e la pietosa briciola
che ci avrebbero servito da un balcone
- come antichi re, o come un miracolo.

Era ancora buio. Un piede del sole
trovò appiglio su un'increspatura del fiume.

Il primo traghetto aveva appena attraversato il fiume.
Con quel freddo speravamo che il caffè
fosse bollente, tanto il sole
non ci avrebbe riscaldato; e che la briciola
fosse una pagnotta a testa, imburrata, per miracolo.
Alle sette un uomo uscì sul balcone.

Si trattenne un minuto sul balcone
guardando sopra le nostre teste, verso il fiume.
Un domestico gli passò gli strumenti di un miracolo:
un'unica tazzina di caffè
e un panino, che sminuzzò briciola a briciola,

la testa, se vogliamo, tra le nuvole - col sole.

Era pazzo? Che cosa avrà, sole o non sole,
cercato mai di fare, lassù sul suo balcone?
Ognuno ricevette solo una dura briciola,
che alcuni lanciarono sprezzanti nel fiume
e, nella tazzina, un goccio di caffè.
Alcuni di noi rimasero, in attesa dei miracolo.

Posso dire che cosa ho visto poi; e non fu un miracolo.
Una splendida villa immersa nel sole,
dalle porte un profumo di caffè
bollente. Sulla facciata, il gesso di un balcone
barocco, aggiunto dagli uccelli del fiume
- lo vidi con un occhio vicino alla briciola -,

e corridoi e saloni in marmo. La mia briciola
la mia dimora, creata per me da un miracolo,
nei secoli, da insetti e uccelli, e poi dal fiume
che lavora la pietra. Ogni giorno, al sole,
all'ora di colazione mi siedo al balcone,
i piedi sulla balaustra, e bevo litri di caffè.

Piluccammo la briciola e ingollammo il caffè.
Una finestra oltre il fiume si illuminò di sole
come se il miracolo avvenisse, sbagliando di balcone.
Elizabeth Bishop

mercoledì 11 settembre 2013

Non più

Pregai col viso ch’era più un torrente
mani artigliate alla stadera delle
speranze equanimi
quel tanto da pensare che lo fossero
ma sapeva la parte del mio cuore
quella più esposta al pianto
che non avrebbe bilanciato curve
né spazi vertebrali
tantomeno le creste dei bisogni
il dilatare imboccature al tempo
non sarebbe servito ad un travaso
nemmeno di un minuto
e vengo allora con le scarpe in mano
a scuoterle dai sassi
ma non ti chiederò quel che non puoi
se quello che non sai
è l’ultimo dei mondi sul confine
di un’ ignota galassia.
Cristina Bove

Poi, un giorno, ho detto qualcosa che non dovevo dire

Poi, un giorno, ho detto qualcosa che non dovevo dire, sono stato espulso dal partito e ho dovuto uscire dal cerchio. È stato allora che ho capito il significato magico del cerchio. Quando si è allontanati da una fila, è ancora possibile tornarci. È una formazione aperta. Ma il cerchio si richiude, e per questo, quando lo si lascia, è per sempre. Non per caso i pianeti si muovono in cerchio, e la pietra che se ne stacca si allontana inesorabilmente, spinta dalla forza centrifuga. Simile a una meteorite staccatasi da un pianeta, io sono uscito dal cerchio e non ho finito, ancora oggi, di cadere. Ci sono persone alle quali è dato morire durante la traiettoria e altre che si schiantano alla fine della caduta. E queste ultime (delle quali faccio parte) serbano sempre dentro di loro una sorta di segreta nostalgia per il girotondo perduto, perché tutti siamo abitanti di un universo nel quale ogni cosa gira a cerchio.
Milan Kundera

Avrebbe voglia di guidare in cielo il carro del sole

Avrebbe voglia di guidare in cielo il carro del sole, per poterlo avvicinare alla terra e bruciacchiare gli uomini. Tuttavia ancora non è giunta al punto di avere fiducia in me, dato che io ho sempre evitato ogni intimità, anche quelle di natura prettamente spirituale. Deve diventare forte in se stessa, prima di potersi appoggiare a me. Qualche volta sembra che sia io a volerla affiliare, per così dire, alla mia massoneria; ma è questione di un attimo. Ella deve maturare da sola, deve sentire l’elasticità della sua mente, deve afferrare il mondo e dominarlo. I suoi progressi sono chiaramente percettibili nelle risposte e negli occhi: una volta in essi ho scorto addirittura un lampo d’ira tremenda. Non voglio che si senta debitrice nei miei riguardi: dev’essere libera, perché solo nella libertà è l’amore, solo nella libertà c’è diletto e gioia. Sebbene io stia lavorando affinché entri in mio possesso quasi per necessità naturale, desidero in ogni caso che si senta attratta come uno spirito che graviti verso un altro spirito, non come un corpo morto che cade. Quando giungerà a essere mia, non dovrà rappresentare per me un pesante fardello. Non voglio che diventi un fastidio in senso fisico, e un obbligo in senso morale. Tra di noi deve regnare il gioco della libertà.
Cordelia deve essere tanto leggera, che io possa sollevarla con le mie braccia

Diario di un seduttore – Søren Aabye Kierkegaard

Il canto di me stesso (LII)

Il falco maculato mi saetta accanto, mi accusa,
riprende le mie chiacchiere e il mio indugio.
Neanch'io sono stato domato, sono anch'io intraducibile,
Scaglio il mio grido barbarico sopra i tetti del mondo.
L'ultimo rapido raggio del giorno si attarda per me,
Proietta la mia immagine dietro le altre, come qualsiasi altra esatta sui deserti d'ombre,
E mi attrae nella bruma e nel crepuscolo.
Mi allontano come l'aria, scuoto i miei bianchi riccioli al sole che fugge,
Effondo la mia carne dentro, vortici, la trascino dentro brecce frastagliate.
Mi abbandono ai rifiuti della terra per crescere con l'erba che amo,
Se ancora mi vuoi, cercami sotto la suola delle scarpe.
Difficilmente comprenderai chi sono o che cosa significo,
Ma non di meno sarò per te la salute,
E filtrerò e rafforzerò il tuo sangue.
Se non riuscirai a trovarmi subito, non perdere coraggio,
Se non mi trovi in un luogo cercami in un altro,
In qualche luogo mi son fermato ad attenderti.
Walt Whitman

Il canto di me stesso (XXIV)

Walt Whitman, un cosmo, di Manhattan il figlio,
turbolento, carnale, sensuale, che mangia, che beve e procrea,
Non un sentimentale, non uno che si sente superiore agli uomini e alle donne o se ne sta lontano da loro,
Non più modesto che immodesto.
Svitate dalle porte tutte le serrature !
Togliete le porte stesse dai loro stipiti!
Chiunque degradi un altro degrada me,
E qualunque cosa è fatta o detta ritorna su di me, alla fine.
Attraverso di me l'ispirazione che ondeggia sempre più, attraverso di me la corrente e l'indice.
Io pronuncio la primordiale parola d'ordine, vi offroil contrassegno della democrazia, Per Dio! Io non accetterò niente di cui tutti non possano avere negli stessi termini. Attraverso di me molte voci a lungo mute,
Voci di interminabili generazioni di prigionieri e di schiavi, v
Voci di malati, di disperati, di ladri, di nani,
Voci dei cicli di preparazione e accrescimento,
E dei fili che uniscono le stelle, gli uteri e il seme paterno,
E dei diritti di quelli che altri sottomettono,
Dei deformi, dei rozzi, dei depressi, degli sciocchi, dei disprezzati,
Nebbia nell'aria, scarafaggi che rotolano i loro grumi di sterco.
Attraverso di me le voci proibite,
voci di sessi e lussurie, voci velate cui rimuovo il velo,
voci indecenti che io rendo chiare e trasfiguro.
Io non premo le mie dita sulla mia bocca,
Tratto con delicatezza le viscere come la testa e il cuore,
il coito non è per me più indecente della morte.
Credo nella carne e nei suoi appetiti,
vedere, udire, sentire sono miracoli, ed ogni parte, ogni lembo di me è un miracolo. Divino io sono, dentro e fuori, e santifico tutto ciò che tocco o da cui sono toccato, l'odore di queste ascelle è un aroma più dolce che le preghiere, questa testa è più che chiese, bibbie e tutti i credi.
Se io venero una cosa più che un'altra sarà l'estensione del mio corpo, o ciascuna parte di esso,
traslucida forma di me, sarai tu!
Ombrose prominenze e supporti, sarete voi!
Saldo vomere del maschio, sarai tu!
Qualunque cosa accresca il mio valore sarai tu!
Tu mio ricco sangue! la tua lattea corrente, pallida mungitura della mia vita!
Petto che si preme contro gli altri petti, sarai tu!
Mio cervello, saranno le tue occulte circonvoluzioni! Radici dei teneri giunchi! pavido beccaccino! nido di uova doppie e protette, sarete voi!
Scompigliato fieno misto di testa, barba, muscoli, sarai tu!
Stillante linfa di acero, fibra di grano virile, sarai tu!
Sole così generoso, sarai tu!
Vapori che illuminate il mio volto e lo coprite d'ombra, sarete voi!
Voi dolci ruscelli e rugiade, sarete voi!
Venti i cui genitali con tenera eccitazione mi sfiorano, sarete voi!
Distesi muscolosi campi, rami di quercia vivente, amoroso fannullone sui miei sinuosi sentieri, sarete voi!
Mani che ho stretto, volti che ho baciato, ogni mortale con cui sono venuto in contatto, sarete voi!
Sono pazzo di me, ci sono un mucchio di cose in me e tutte voluttuose,
ogni momento e qualunque cosa accada mi fa trasalire di gioia,
non so dire come le mie caviglie si pieghino, né da dove derivino i miei minimi desideri, né la ragione della amicizia che emano, né quella delia amicizia che ricevo.
Che salgo alla mia veranda, mi fermo a considerare se ciò accade davvero,
una campanula rampicante alla mia finestra mi soddisfa più che la metafisica dei libri. Contemplare l'alba!
La piccola luce fa svanire le immense diafane ombre,
l'aria ha un buon sapore al mio palato.
Sollevamenti di un mondo che si muove con innocenti capriole
che sorgono silenziosamente trasudando con freschezza,
guizzando obliquamente in alto e in basso.
Qualcosa che non posso vedere spinge in alto punte libidinose,
mari di succo splendente inondano i cieli.
La terra accanto al cielo con cui stava, il quotidiano finire della loro unione,
la sfida lanciata da oriente in quell'istante sul mio capo,
il sarcasmo che irride, Vedi dunque se sarai tu il padrone!
 Walt Whitman

Mi guardi, da vicino mi guardi

Mi guardi, da vicino mi guardi, sempre più da vicino, e allora giochiamo al ciclope, ci guardiamo ogni volta più da vicino e gli occhi si ingrandiscono, si avvicinano, si sovrappongono, ed i ciclopi si guardano, respirando confusi, le bocche si incontrano e lottano debolmente mordendosi le labbra, appoggiando appena la lingua tra i denti, giocando nei suoi recinti dove un’aria pesante va e viene con un profumo vecchio e un silenzio. Allora le mie mani cercano di fondersi nei tuoi capelli, accarezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori e di pesci, di movimenti vivi, di fragranza oscura. E se ci mordiamo il dolore é dolce, e se ci affoghiamo in un breve e terribile assorbire simultaneo dell’alito, questa istantanea morte é bella. E c’é una sola saliva ed un solo sapore a frutta matura, ed io ti sento tremare contro di me come una luna nell’acqua.
Julio Cortázar, Rayuela – capitolo 7

Vigilanza silenziosa

Si strinsero in cinte rocciose, le pietre,
e gli uomini si nutrirono di muschio.
Profonda era la notte, e in armi.
Le donne non partorivano più.
L’ignominia
aveva il volto di un bicchiere d’acqua.
Mi sono unito al coraggio di alcuni uomini
e ho vissuto con furore,
senza invecchiare, il mio mistero
in mezzo a loro. Vibravo
dell’esistenza di tutti gli altri
come una barca sfrenata, riemersa
da fondali sbarrati.
Renè Char

lunedì 9 settembre 2013

Cuci una foglia vicino alle parole

Cuci una foglia vicino alle parole, cuci le parole tra loro, guarda una foglia come viene soffiata lontano.
Il tempo mentre scriviamo vola, noi moriamo a noi stessi mentre intorno cresce la vita e la realtà s’addensa, s’intreccia, diventa una radice che sale fino a un tronco e ridiventa foglio.
Da sempre mi mancano le parole e io ne ho nostalgia.
Per questo cucio, cucio, cucio.
Antonella Anedda

Mosse

Da coriandolo di neve a valanga, da elemosina a
            scrigno,
da acino a mosto, da gradino a precipizio,
da cellula a organismo, da candela a rogo
dall'infimo succede il gigantesco, così pur'io
che uso il verbo amare.

In bocca ho una stanza di baci rinchiusi
che fanno il rumore di un alveare.
Poi il corpo si precipita alle labbra
come alla porta della città per applaudire.
Erri De Luca
(L'ospite incallito)

Proposta di modifica

C’è il verbo snaturare, ci dev’essere pure innaturare,
con cui sostituisco il verbo innamorare
perchè succede questo: che risento il corpo,
mi commuove una musica, passa corrente sotto i
polpastrelli,
un odore mi pizzica una lacrima, sudo, arrossisco,
in fondo all’osso sacro scodinzola una coda che s’è
persa.
Mi sono innaturato: è più leale.
M’innaturo di te quando t’abbraccio.
Erri De Luca
(L'ospite incallito)

Il rumore dei tuoi passi




E' più facile appoggiare l’orecchio alle nuvole
e udire passare le stelle
che attaccarlo alla terra e raggiungere il rumore dei tuoi passi.
Ed è più facile, anche, affacciare lo sguardo sull’oceano
e assistere, là sul fondo, alla nascita muta delle forme,
che desiderare che tu appaia, creando con il tuo semplice gesto
il segno di una eterna speranza.
Non mi interessano più le stelle, né le forme del mare,
né tu.
Ho srotolato dall’interno del tempo la mia canzone:
non ho invidia delle cicale: anch’io morirò per il cantare.
Cecília Meireles

giovedì 5 settembre 2013

Canto alla Durata

…..
quel senso di durata cos’era?
era un periodo di tempo?
qualcosa di misurabile?
una certezza?
No, la durata era una sensazione,
la più fugace di tutte le sensazioni,
spesso più veloce di un attimo,
non prevedibile non controllabile,
inafferrabile non misurabile.
Eppure con il suo aiuto
avrei potuto affrontare sorridendo ogni avversario
e disarmarlo
e se mi considerava un uomo malvagio
l’avrei convinto a pensare
“egli è buono!”
e se esistesse un dio,
sarei stato la sua creatura
finché provavo quella sensazione della durata.
….
e mi venne così di descrivere
la sensazione della durata
come il momento in cui ci si mette in ascolto
il momento in cui ci si raccoglie in se stessi
in cui ci si sente avvolgere
da cosa? da un sole in più,
da un vento fresco,
da un delicato accordo senza suono
in cui tutte le dissonanze si compongono e si fondono insieme.
“ci vogliono giorni, passano anni”
Goethe mio eroe
e maestro del dire essenziale,
anche questa volta hai colto nel segno:
la durata ha a che fare con gli anni
con i decenni, con il tempo della nostra vita.
ecco la durata è la sensazione di vivere.
….
Ancora una volta ho capito che l’estasi è sempre un che di troppo,
è la durata invece la cosa giusta.
Eppure l’accenno al giardino di casa
non vuol significare
che si possa raggiungere la durata
con una residenza stabile
e con le abitudini.
E’ vero che essa deriva da
atti quotidiani ripetuti
attraverso gli anni,
ma non dipende
dalla permanenza in un luogo
e da itinerari consueti.
Mai ho sentito la durata
standomene al mio solito posto
-in quello star seduto in silenzio
ch si dice faccia diventar santi-
mai ho sentito la durata
seduto a un tavolo riservato ai clienti abituali,
non ho mai sentito la durata
consumando le pietanze favorite
passeggiando lungo la “mia” strada.
Certo la durata è l’avventura del passare degli anni,
l’avventura della quotidianità
ma non è un’avventura dell’ozio, non è un’avventura del tempo libero.
E’ dunque connessa col lavoro
con la fatica, con l’impegno, con la continua disponibilità?
No, perché se avesse una regola
richiederebbe un paragrafo
e non una poesia.
Io infatti l’ho vissuta anche viaggiando, sognando, tendendo l’orecchio
giocando contemplando,
in un campo sportivo, in una chiesa, in molti pissoir.

l’essenza della durata
potervi accennare, parlarne nel modo giusto,
farla vibrare,
quell’essenza che ogni volta mi ridà slancio.
Eppure in un primo momento mi viene di intonare
soltanto una litania fatta di singole parole:
sorgente, prima neve, passeri, piantaggine
albeggiare imbrunire, benda sterile, accordo
(lui, peter handke, io queste parole qua:
papaveri, nuvole, alberi, quietamente addormentarmi, camminare a passo lesto, lo scatto velocissimo di una corsa
suono della fisarmonica, cogliere un arbusto)

credo di capire che la durata
diventa possibile solo quando riesco
a restare fedele a ciò che riguarda me stesso
quando riesco ad essere cauto,
attento, lento
sempre del tutto presente a me stesso sino nelle punte delle dita.
e qual’ è la cosa a cui devo restare fedele?
la durata ti apparirà nell’affetto per i vivi
-per uno di loro-
e nella consapevolezza di un legame
(anche soltanto illusorio)
e questa non è una cosa grande
particolare, non è insolita sovrumana non è guerra non è allunaggio non è una scoperta, un capolavoro del secolo, la conquista di una vetta un volo da kamikaze:
io la condivido con migliaia di persone, con il mio vicino e allo stesso tempo con gli abitanti ai margini del mondo,
dove grazie a questo fatto comune
si crea lo stesso centro del mondo
che è qui accanto a me.
Restando fedele a ciò che mi è caro e che è la cosa più importante
impedendo in tal maniera che si cancelli con gli anni
sentirò poi forse
del tutto inatteso
il brivido della durata
e ogni volta per gesti di poco conto
nel chiudere con cautela la porta
nello sbucciare con cura una mela
nel varcare con attenzione una soglia
nel chinarmi a raccogliere un filo.
Il canto della durata è una poesia d’amore.
….
sapermi guardare amichevolmente negli occhi
talvolta mi assolve.
Essere capace di pensare
al bambino che ero
significa già ritrovarlo.
Essere indulgente con i miei difetti
(non con i miei eccessi)
rabbonirmi se mi viene fatto un torto
come mio unico parente
battermi il petto
in trionfo per una parola felice
al posto giusto
e urlare un sì nella foresta della mia stanza
può ringiovanirmi
come una bottiglia di prelibatissimo vino.
E infine, felice chiunque abbia i propri luoghi della durata!
e i luoghi della durata non rifulgono di splendore, spesso non sono riportati sulle carte
o sono senza nome.

nel fattempo non sento più il bisogno di fare lunghi viaggi
verso i luoghi della durata

mi sono educato
ad attendere la durata
senza la fatica del pellegrinare.
Eppure il semplice stare a casa non basta
io devo andare incontro alla durata
andare incontro a ciò che mi è caro o dirigermi in quel senso
mi dà fiato
in modo più forte e più durevole di una corsa di resistenza.
Non a chi sta seduto a casa
ma al viandante sul cammino del ritorno
si avvicina la durata come a Odisseo bisognoso di aiuto
la sua divina amica Pallade Atena.
Ma anche a casa mi si fa accanto molte volte
quando cammino su e giù per il giardino
sulla neve nella pioggia al sole sotto il temporale
guardando il bosco ondeggiante
l’albero di tasso trapunto di tele di ragno
gli uccelli che si tuffano nell’aria
oppure quando mi siedo nella mia stanza
al cosiddetto tavola da lavoro
nel fare tutti quei soliti gesti secondari
spostare indietro la sedia
dare uno sguardo nel cassetto
con i mozziconi di matita
dare uno sguardo allo scaffale
con la fila di occhiali che aumenta
sbirciare dalla finestra in giardino
dove i gatti lasciano le loro tracce
nella neve profonda
e tra l’erba alta

o durata o mia quiete!
o durata mia scelta!

resta vero:
la durata non è un’esperienza collettiva,
essa non forma un popolo.
E tuttavia nello stato di grazia della durata
finalmente non sono più solo.
La durata è il mio riscatto
mi lascia andare ad essere.
Animato della durata
io sono anche quegli altri
che già prima di me sono stati sul lago di Griffen
che dopo di me gireranno alla Porte D’Auteuil

sostenuto dalla durata – io essere effimero porto sulle mie spalle i miei predecessori e i miei successori
un peso che mi eleva-
Per questo la durata doveva essere chiamata una grazia
le sue immagini e i suoi suoni
non hanno forse quel bagliore e quel tono che ci si aspetta?
la pioggia serale che cade nella pozzanghera del mattino,
le scritte sempre uguali sui camion dei corrieri
che sfrecciano sul ponte dell’autostrada.
La scossa della durata
già di per sé intona un canto
dà un ritmo senza parole che,
elemento scatenante,
nelle mie vene fa battere il palpito di un epos
in cui alla fine il bene trionferà.
Il pungolo della durata è ciò
che mi è mancato.
Chi non hai provato la durata
non ha vissuto.
La durata non stravolge
mi rimette al posto giusto.
Senza esitazione rifuggo la luce abbagliante dell’accadere quotidiano
e mi riparo nell’incerto rifugio della durata.
Durata si ha quando in un bambino
che non è più un bambino
-e che forse è già vecchio-
ritrovo gli occhi del bambino.
Durata non c’è nella pietra immortale
preistorica
ma dentro il tempo
nel morbido-
lacrime di durata, troppo rare!
lacrime di gioia-
Incerte non invocabili
non implorabili
scosse della durata
ora siete custodite
in un canto.
Peter Handke