
Quando ho avuto la sensazione che nessuno –
assolutamente nessuno: né sciamani né psichiatri né mio marito – fosse
in grado di capire ciò che provavo, lui è riuscito a spiegarmi l’origine
e l’essenza del mio disagio. La solitudine, nonostante io viva
circondata da persone care, che mi augurano ogni bene, ma che
probabilmente si preoccupano di aiutarmi soltanto perché condividono la
mia stessa situazione – una sorta di isolamento dal mondo – e perché,
con il loro gesto di solidarietà, intendono proclamare un concetto che
non sanno esprimere: “Io sono utile, anche se sono solo.”
Sebbene la mente possa arrivare a convincersi che tutto va bene, la
nostra anima è smarrita, confusa, incapace di guarire il malessere che
ci tormenta. Ci invia segnali che non sappiamo interpretare: non
guardiamo mai nel nostro cuore, e seguitiamo a svegliarci al mattino e a
occuparci dei nostri figli, dei nostri mariti, dei nostri amanti, dei
nostri capi, dei nostri impiegati, dei nostri studenti, delle decine di
persone che costituiscono il nostro mondo fisico.
Per il prossimo, abbiamo sempre il sorriso sulle labbra e una
parola di incoraggiamento – nessuno può o vuole raccontare la propria
solitudine, soprattutto quando gli altri finiscono per rappresentare la
pietra angolare dell’esistenza. Ma la solitudine esiste e continua a
minare, a corrodere, il nostro vero essere, visto che dobbiamo impiegare
ogni energia per apparire felici: ci imponiamo determinati atteggiamenti, ma ci risulta impossibile
ingannare pure noi stessi. In ogni caso, ci ostiniamo a mostrare
soltanto la rosa sontuosa, evitando accuratamente di far vedere lo stelo
spinoso che ci ferisce e ci fa sanguinare.
E questo anche se sappiamo che tutti, in un qualche momento della
vita, si sono sentiti totalmente e assolutamente soli. Reputiamo
sconveniente e umiliante dire: “Sono solo, ho bisogno di compagnia. Devo
uccidere il mostro che mi sta rubando la gioia di vivere e, a
differenza dei draghi delle favole, non è soltanto il frutto della
fantasia.” Ci limitiamo ad aspettare un cavaliere virtuoso che, con
spada e lancia, vinca la bestia e la ricacci nell’abisso: ma quell’eroe
non arriva mai.
Comunque, non possiamo perdere la speranza. E allora ci dedichiamo a
nuove esperienze, compiamo scelte che esigono forza e coraggio – molto
più di quanto sia necessario. Nel nostro cuore, le spine aumentano,
diventano più taglienti e devastanti, eppure dobbiamo sopportare il
dolore: non possiamo desistere, abbandonare la sfida. Come se la vita
fosse una gigantesca partita a scacchi, tutti sono in attesa del
risultato. Fingiamo che non sia importante vincere o perdere, bensì
competere, e ci adoperiamo affinché i nostri veri sentimenti siano
indecifrabili, nascosti, ma poi…
… Poi, anziché cercare la compagnia e il conforto degli altri, ci
isoliamo sempre più, per poter leccarci le ferite in silenzio. Oppure
partecipiamo a cene e pranzi con persone lontanissime dalla nostra vita,
con le quali ci ritroviamo a conversare di argomenti insignificanti. Ci
distraiamo per qualche ora, beviamo e festeggiamo ma, dentro di noi, il
drago è sempre vivo. Poi, a un certo punto, le persone davvero vicine
si accorgono del nostro disagio e si sentono in colpa perché non sanno
renderci felici. Quando ci domandano se abbiamo qualche problema,
rispondiamo che va tutto bene, anche se non è così.
Anzi, le cose vanno davvero male. A coloro che ci offrono aiuto,
vorremmo dire: “Ti prego, lasciami in pace: non ho più lacrime per
piangere né cuore per soffrire. Per me, non c’è altro che insonnia,
vuoto, apatia. Credo che tu viva la mia stessa situazione, perciò…” Ma
gli altri insistono, dicono che si tratta solo di un periodo difficile,
di una depressione passeggera: si sentono assaliti dal terrore al
pensiero di pronunciare la parola maledetta: “solitudine”.
Nel frattempo, noi seguitiamo indefessamente a sperare nella
comparsa del cavaliere dall’armatura splendente: soltanto l’eroe può
donarci la felicità, uccidendo il drago, eliminando le spine dallo stelo
della rosa e assaporando il suo profumo.
Alcuni affermano che siamo ingiusti con la vita. Altri si
rallegrano della nostra situazione, poiché sono convinti che sia proprio
ciò che meritiamo: la solitudine e l’infelicità derivano dal fatto che,
a differenza di loro, noi abbiamo tutto ciò che desideriamo.
Poi, un giorno, quelli che sono ciechi cominciano a vedere. Quelli
che sono tristi, si consolano. Quelli che soffrono, gioiscono. Arriva il
cavaliere e ci libera dal mostro – e, di nuovo, la nostra vita acquista
un senso.
Eppure sentiamo ancora il bisogno di mentire e ingannare, anche se
con motivazioni diverse. Chi non ha mai avvertito il desiderio di
abbandonare tutto e di inseguire un sogno? Nel sogno esiste sempre un
elemento di rischio, un prezzo da pagare: in alcuni paesi, esso può
condurre a una sentenza di lapidazione; in altri, può causare
indifferenza o ostracismo. Di certo, però, ogni sogno ha un costo. Anche
se continuiamo a mentire e gli altri fingono di crederci e di
invidiarci, nascostamente sparlano alle nostre spalle, dicendo che siamo
individui spregevoli, pericolosi. Tu non sei un uomo che inganna la
moglie – qualcuno che si tollera e spesso si ammira –, ma un’adultera,
una donna che va a letto con un altro e che tradisce il consorte – quel
povero marito, sempre così comprensivo e premuroso.
Ma soltanto tu sai che il tuo compagno non è in grado di
allontanare la solitudine che ti devasta. Non hai mai cercato di
parlargli di ciò che ti manca perché lo ami e non vuoi perderlo. Di
certo, un cavaliere dall’armatura scintillante, che ti fa immaginare
avventure in terre lontane, si dimostra sempre assai più forte della tua
aspirazione a condurre una vita tranquilla, anche se nella situazione
in cui ti trovi, gli altri pensano che la soluzione dei tuoi problemi
sia una pietra al collo e un tuffo nell’acqua profonda – oltretutto, sei
un pessimo esempio.
E il fatto che tuo marito sopporta ogni cosa in silenzio
contribuisce a peggiorare lo scenario. Non protesta né urla. Si dice che
passerà. D’accordo, passerà, ma per ora ti sta soffocando.
E così la situazione si protrae per un mese, due mesi, un anno… E tutti sopportano in silenzio.
Per cambiare, non occorrono permessi. Ti guardi indietro e ti rendi
conto che la pensavi come coloro che ti accusano. Anche tu condannavi
le adultere e immaginavi che, se fossero vissute in un altro paese,
avrebbero pagato con la lapidazione. Poi è capitato a te. E allora hai
trovato un milione di giustificazioni per il tuo comportamento: ti sei
ripetuta che hai il diritto di essere felice, fosse pure per poco tempo,
perché i cavalieri che uccidono i draghi esistono solo nelle fiabe
dell’infanzia. I draghi autentici non muoiono mai. A questo punto, tu
non puoi negarti il piacere di vivere una favola adulta almeno una volta
nella vita.
E così arriva il momento che, per mesi o anni, ti sei sforzata di
evitare a ogni costo: quello che ti obbliga a prendere una decisione, a
scegliere se continuare a stare insieme o separarsi. Nel contempo, ti
assale la paura di sbagliare, quale che sia la decisione che prenderai.
Allora desideri ardentemente che qualcuno scelga al tuo posto, che ti
caccino da casa o dal letto, perché è impossibile continuare una vita di
falsità. Pensi: ‘In fondo, non esiste più nessuna comunione: siamo due
persone totalmente diverse l’una dall’altra.’ È una presa di coscienza
nuova, una cosa che non avevi neppure immaginato, e che non sai dove ti
condurrà. Di sicuro, è una situazione che farà soffrire un’altra
persona, o forse due, oppure tutti, ma…
Ma, soprattutto, distruggerà te – qualunque sia la tua scelta.