Un rivolo di miele dorato e vischioso colava dalla bottiglia
così lento che la padrona ebbe agio di raccontare:
- Qui nella Tauride mesta dove ci ha condotto la sorte,
non un filo
proviamo di nostalgia, – e gettò uno sguardo da sopra
la spalla.
Opere di Bacco dovunque, come soltanto ci fossero
al mondo
custodi e cani: tu vai per la strada e non vedi, non
incontri nessuno.
Rotolano calmi i giorni, simili a grosse pesanti botti:
laggiù, voci dentro un capanno – non ne afferri il senso,
non sai che rispondere.
Dopo il tè uscimmo all’aperto in un immenso giardino
marrone;
come ciglia, sulle finestre erano abbassate scure tende;
per dare un’occhiata alla vigna passammo oltre bianche
colonne,
e un liquido vetro d’aria smaltava i pendii sonnolenti.
Io dissi: l’uva qui pulsa come un’antica battaglia
fra ricciuti cavalieri che si battono in viticciosa falange;
nella Tauride, nelle sue pietre, c’è la scienza dell’Ellade:
guarda
nobili aiole color ruggine di ettari che sfoggiano oro.
Ora, nella candida stanza domina come un arcolaio
il silenzio.
Odore di aceto, pittura e vino fresco esala dal sotterraneo.
Ricordi, nella casa greca, la sposa così seducente
per tutti – non Elena, l’altra – quanto ricamò anni
ed anni?
Vello d’oro, dove stai, vello d’oro? Non ci fu che uno
strepitare
di grevi onde marine lungo tutto, tutto quel viaggio,
e lasciando la nave che aveva fiaccato la tela sui mari
fece ritorno Odisseo, colmo di tempo e di spazio.
Osip Mandel’štam
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