...Ma essa non era contenta. Sentiva
un'inquietezza un'uggia, che la facevano rimanere colle mani inerti sul ricamo, che la
facevano cercare certi posti per leggere i pochi libri, quei volumetti tenuti nascosti
sotto la biancheria, in collegio. All'ombra dei noci, vicino alla sorgente, in fondo al
viale che saliva dalla casina, c'era almeno una gran pace, un gran silenzio, s'udiva lo
sgocciolare dell'acqua nella grotta, lo stormire delle frondi come un mare, lo squittire
improvviso di qualche nibbio che appariva come un punto nell'azzurro immenso. Tante
piccole cose che l'attraevano a poco a poco, e la facevano guardare attenta per delle ore
intere una fila di formiche che si seguivano, una lucertolina che affacciavasi timida a un
crepaccio, una rosa canina che dondolava al disopra del muricciuolo, la luce e le ombre
che si alternavano e si confondevano sul terreno. La vinceva una specie di dormiveglia,
una serenità che le veniva da ogni cosa, e si impadroniva di lei, e l'attaccava lì, col
libro sulle ginocchia, cogli occhi spalancati e fissi, la mente che correva lontano. Le
cadeva addosso una malinconia dolce come una carezza lieve, che le stringeva il cuore a
volte, un desiderio vago di cose ignote. Di giorno in giorno era un senso nuovo che
sorgeva in lei, dai versi che leggeva, dai tramonti che la facevano sospirare,
un'esaltazione vaga, un'ebbrezza sottile, un turbamento misterioso e pudibondo che provava
il bisogno di nascondere a tutti. Spesso, la sera, scendeva adagio adagio dal lettuccio
perché la mamma non udisse, senza accendere la candela, e si metteva alla finestra,
fantasticando, guardando il cielo che formicolava di stelle. La sua anima errava vagamente
dietro i rumori della campagna, il pianto del chiù, l'uggiolare lontano, le forme confuse
che viaggiavano nella notte, tutte quelle cose che le facevano una paura deliziosa.
Sentiva quasi piovere dalla luna sul suo viso, sulle sue mani una gran dolcezza, una gran
prostrazione, una gran voglia di piangere...
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