Le statue, calme, non si preoccupano dell’usura del tempo;
perdono le mani, i piedi o la testa
ma restano sempre nella stessa posa, erette,
o supine per terra, sorridenti,
o, bocconi, voltano la schiena a noi e al tempo
come se copulassero, come intente
a un amore infinito, e noi le guardiamo
con un’inspiegabile spossatezza, tristi. Più tardi
torniamo nell’albergo popolare, tiriamo le tende
per attenuare il bagliore del meriggio, e tentiamo,
nudi anche noi, coricati sul letto scomodo,
di imitare la quieta immobilità delle statue.
Ghiannis Ritsos
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