…Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare… io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.

...solo un sogno, un'emozione...una nuvola...solo un alito di vento che ti sfiora, solo l'eco dei tuoi passi nella sera...

giovedì 6 settembre 2012

La solitudine

Un gazzettante filantropo mi dice che la solitudine fa male all’uomo; e a sostegno della sua tesi cita, come tutti gli increduli, parole dei Padri della Chiesa.
So che il Demonio frequenta volentieri i luoghi aridi, e che il Pensiero di omicidio e di lubricità si infiamma a meraviglia nelle solitudini. Ma può essere che questa solitudine sia pericolosa solo per l’anima oziosa e divagante che la popola con le sue passioni e chimere.
Certo è che un parolaio, il cui sommo piacere consiste nel parlare dall’alto di una cattedra o di una tribuna, nell’isola di Robinson rischierebbe non poco di diventare pazzo furioso. Io non pretendo dal mio gazzettante le coraggiose virtù di Crusoè, ma gli chiedo di non decretare lo stato d’accusa di chi ama la solitudine e il mistero.
Nelle nostre razze cicaleggianti vi sono individui che accetterebbero con minor ripugnanza il supplizio supremo, se fosse loro permesso di tenere dall’alto del patibolo una copiosa arringa, senza dover temere che i tamburi di Santerre troncassero loro intempestivamente la parola.
Non li compiango, perché immagino che le effusioni oratorie procurino loro voluttà uguali a quelle che altri traggono dal silenzio e dal raccoglimento; ma li disprezzo.
Desidero soprattutto che il mio maledetto gazzettante mi lasci divertire a modo mio. «Voi non provate dunque mai» mi dice con tono nasale molto apostolico «il bisogno di dividere le vostre gioie?». Vedete che sottile invidioso! Sa che disdegno le sue e viene a insinuarsi nelle mie, l’orrendo guastafeste.
«La gran disgrazia di non poter star solo!…» dice da qualche parte La Bruyère, come per far vergognare tutti coloro che corrono a dimenticarsi nella folla, certo temendo di non poter sopportare sé stessi.
«Quasi tutte le nostre disgrazie vengono dal non aver saputo starcene in camera nostra» dice un altro saggio, Pascal mi pare, richiamando così nella cella del raccoglimento tutti quegli smarriti che cercano la felicità nel moto e in una prostituzione che potrei chiamare fraternitaria, se volessi usare la bella lingua del mio secolo.
Charles Baudelaire, Lo spleen di Parigi

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