…Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare… io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.

...solo un sogno, un'emozione...una nuvola...solo un alito di vento che ti sfiora, solo l'eco dei tuoi passi nella sera...

mercoledì 23 maggio 2012

Si canta al mare

Niente potrà allontanare dalla mia memoria
la luce di quella misteriosa lampara
né l’effetto che ebbe nei miei occhi
né l’impressione che mi lasciò nell’anima.
Tutto può il tempo, tuttavia
credo che neanche la morte potrà cancellarla.
Vado qui a spiegarmi, se me lo permettono,
con l’eco migliore della mia gola.
A quel tempo io non comprendevo,
francamente, come mi chiamavo
né avevo ancora scritto il mio primo verso,
né versato la mia prima lacrima;
il mio cuore era, né più né meno,
che il chiosco dimenticato di una piazza.
Ma successe una volta che mio padre
fu esiliato al sud, nella lontana
isola di Chiloè dove l’inverno
è come una città abbandonata.
Partii con lui e senza pensare arrivammo
a Porto Montt in una mattinata chiara.
Sempre aveva vissuto la mia famiglia
nella valle centrale o in montagna
in modo che mai, neanche col pensiero,
si conversò del mare in casa nostra.
Su questo argomento io sapevo appena
ciò che insegnavano nella scuola pubblica
e qualcos’altro da una questione di spionaggio
delle lettere d’amore delle mie sorelle.
Scendemmo dal treno tra bandiere
e una festa solenne di campane
quando mio padre mi prese per un braccio
e volgendo gli occhi alla bianca,
libera ed eterna schiuma che da lontano
navigava verso un paese senza nome,
come chi recita un’orazione, mi disse
con voce che ho ancora nell’udito:
«Questo è, ragazzo, il mare». Il mare sereno,
il mare che di cristallo bagna la patria.
Non so dire perché, però è il caso
che una forza superiore mi riempì l’anima
e senza misurare, senza sospettare neppure
la grandezza reale della mia campagna,
presi a correre, senza ordine né accordo
come un disperato verso la spiaggia
e in un istante memorabile fui
di fronte a quel gran signore delle battaglie.
Fu allora che distesi le braccia
sulla faccia ondulante delle acque,
rigido il corpo, le pupille fisse
nella verità infinita della distanza,
senza che nel mio essere si muovesse un capello,
come l’ombra azzurra delle statue.
Quanto tempo durò il nostro saluto
non potrebbero dirlo le parole.
Devo soltanto aggiungere che in quel giorno
nacque nella mia mente l’inquietudine e l’ansia
di fare in verso ciò che di onda in onda
Dio alla mia vista creava incessantemente.
Ha inizio da allora la fervente
e bruciante sete che mi trascino dietro:
È che, in verità, da che esiste il mondo,
la voce del mare era dentro di me.
Nicanor Parra

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