…Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare… io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.

...solo un sogno, un'emozione...una nuvola...solo un alito di vento che ti sfiora, solo l'eco dei tuoi passi nella sera...

venerdì 16 dicembre 2011

Rossori

È l’ora di tornare. La sera
discende quieta in grembo alla valle.
Passa sotto le nude volte dei castani
una muta brezza e ne tremano
il morto fogliame dell’inverno,
il verde gracile che si rinnova
sulle prode scoperte. Le cose,
fatte più grigie, sembrano raccogliersi
in un silenzio assorto.
Attutisce il suo canto
persino la bianca acqua, che scende
da lontano, dall’alto e che stamane
con tanta furia gridava
la sua gioia d’esser sfuggita
agli artigli del ghiaccio.
È l’ora di tornare. Compongo
in una mano, strettamente, i miei fiori
e nella penombra incupita
ripercorro il sentiero.
Oggi è il giorno dell’Angelo.
Nessuna donna, a ginocchi, risciacqua
lungo il fossato i suoi panni:
gli sgabelli capovolti
impediscono il passo.
C’è un’aria d’abbandono, oggi, pei campi,
un’aria di solitudine festiva
che fa più triste la tristezza dell’ora.
Ma davanti al cancello
del mio giardino
un grappolo di bimbi
attende il mio ritorno.
Per guardarmi,
per guardarmi bene da vicino,
per vedere com’è fatta
questa cosa curiosa che son io.
Me li trovo davanti all’improvviso,
che mi fissano, dritti,
senza scomporsi:
e di colpo sento
che ho io di loro assai più vergogna
che non essi di me.
Vergogna del mio mazzo
di bucaneve troppo semplici
che a loro paiono brutti,
vergogna del mio passo,
del mio corpo, troppo pesanti,
che a me sembrano goffi…
ed ecco, vorrei essere come loro,
piccina, povera, oscura,
più vicina alla loro piccolezza,
e non aver da dire
la parola benevola
che suona male,
non aver da sorridere
con le labbra dure
che si aprono male..
mi rifugio dietro il cancello
come dietro una porta impenetrabile.
Ma quando devo infilare
la chiave nella toppa
e chiudere
con armeggio sgarbato,
mi sento morire, mi sento piena di vergogna
davanti ai loro occhi tondi di passeri
che mi guardano di là dalle sbarre;
davanti alle loro anisette
di passeri liberi, avvezzi
ad entrare, ad uscire
dagli ustioni sgangherati
delle vecchie cascine,
senza smuovere mai
l’enorme catenaccio arrugginito…
Antonia Pozzi

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