La poesia è
un sistema di specchi
rotatori, che scivolano armonici,
che spostano luci ed ombre nel salottino di prova: perché
il vetro smerigliato? Come parlando - conversando
con la tovaglia e musica soave - ti direi, mia cara,
che questo riflesso, o l’altro, è la poesia
o ne è uno degli aspetti: c’è una poesia possibile
sulla duchessa morta a Ekaterinenburg,
e quando si muove il sole rosso nelle finestre, io ricordo
i suoi occhi azzurri... Non so, ne ho passate tante, d’ore,
nei treni di notte, leggendo romanzi polizieschi
(soli nella buia casa, aprivamo gli armadi),
e una notte, andando a Berna, due uomini si
baciarono nel mio scompartimento
perché era vuoto, o io dormivo, o era buio
(una mano cerca l’altra, un corpo l’altro) e adesso gira il cristallo
e nasconde questo aspetto: di realtà e di finzione,
la convenzione, vale a dire, e le cose vissute,
l’esperienza della luce nei boschi invernali,
la difficoltà di dare coerenza - è un gioco di specchi -,
gli atti che si dissolvono nell’irrealtà,
gli acidi che invadono vecchie fotografie,
il giallo, la lebbra, la ruggine e il muschio che cancellano le immagini,
il catrame che imbratta le facce dei ragazzi in canotier,
tutto ciò che un pomeriggio morì con le biciclette,
rossi cromati sepolti in cisterne,
a camera lenta i corpi (nello spazio, come nel tempo) sotto le acque.
(Offuscato come il fondo d’uno specchio infranto, il salottino
è l’asse di questa poesia.)
un sistema di specchi
rotatori, che scivolano armonici,
che spostano luci ed ombre nel salottino di prova: perché
il vetro smerigliato? Come parlando - conversando
con la tovaglia e musica soave - ti direi, mia cara,
che questo riflesso, o l’altro, è la poesia
o ne è uno degli aspetti: c’è una poesia possibile
sulla duchessa morta a Ekaterinenburg,
e quando si muove il sole rosso nelle finestre, io ricordo
i suoi occhi azzurri... Non so, ne ho passate tante, d’ore,
nei treni di notte, leggendo romanzi polizieschi
(soli nella buia casa, aprivamo gli armadi),
e una notte, andando a Berna, due uomini si
baciarono nel mio scompartimento
perché era vuoto, o io dormivo, o era buio
(una mano cerca l’altra, un corpo l’altro) e adesso gira il cristallo
e nasconde questo aspetto: di realtà e di finzione,
la convenzione, vale a dire, e le cose vissute,
l’esperienza della luce nei boschi invernali,
la difficoltà di dare coerenza - è un gioco di specchi -,
gli atti che si dissolvono nell’irrealtà,
gli acidi che invadono vecchie fotografie,
il giallo, la lebbra, la ruggine e il muschio che cancellano le immagini,
il catrame che imbratta le facce dei ragazzi in canotier,
tutto ciò che un pomeriggio morì con le biciclette,
rossi cromati sepolti in cisterne,
a camera lenta i corpi (nello spazio, come nel tempo) sotto le acque.
(Offuscato come il fondo d’uno specchio infranto, il salottino
è l’asse di questa poesia.)
Pere Gimferrer
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