…Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare… io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.

...solo un sogno, un'emozione...una nuvola...solo un alito di vento che ti sfiora, solo l'eco dei tuoi passi nella sera...

domenica 31 maggio 2020

L' hai amata, vero?

"L'hai amata, vero?"
Lui sospirò
"Come posso risponderti? Lei era matta"
Si passò una mano tra i capelli
"Dio se era tutta matta, ogni giorno era una donna diversa

Una volta intraprendente, l'altra impacciata.
Una volta esuberante, l'altra timida.
Insicura e decisa.
Dolce e arrogante.
Era mille donne lei, ma il profumo era sempre lo stesso
Inconfondibile
Era quella la mia unica certezza.
Mi sorrideva sapeva di fregarmi con quel sorriso
Quando sorrideva io non capivo più nulla
Non sapevo più parlare ne pensare
Niente, zero
C'era all'improvviso solo lei
Era matta, tutta matta
A volte piangeva
Dicono che in quel caso le donne vogliono solo un abbraccio
Lei no
Lei si innervosiva
Non so dove si trova adesso ma scommetto che è ancora alla ricerca di sogni
Era matta tutta matta
Ma l'ho amata da impazzire
Charles Bukowski 

Il diavolo

Il diavolo oggi è l’approssimativo. Per diavolo intendo la negatività senza riscatto, da cui non può venire nessun bene. Nei discorsi approssimativi, nelle genericità, nell’imprecisione di pensiero e di linguaggio, specie se accompagnati da sicumera e petulanza, possiamo riconoscere il diavolo come nemico della chiarezza, sia interiore sia nei rapporti con gli altri, il diavolo come personificazione della mistificazione e dell’automistificazione. Dico l’approssimativo, non il complicato; quando le cose non sono semplici, non sono chiare, pretendere la chiarezza, la semplificazione a tutti i costi, è faciloneria, e proprio questa pretesa obbliga i discorsi a diventare generici, cioè menzogneri. Invece lo sforzo di cercare di pensare e d’esprimersi con la massima precisione possibile proprio di fronte alle cose più complesse è l’unico atteggiamento onesto e utile.
Italo Calvino

La cattiveria

Sono molto avvilito
perché mi manca la cattiveria.
Bisogna che butti via
quelle leccate di roba dolce
che coprono le mie parole.

Voglio dir male di tutto.
Anche della vita? Della vita
no, è sempre bella
anche quando piango.
Tonino Guerra

La trappola

Tu sai come ho vissuto finora. Sai che ho provato sempre ribrezzo, orrore, di farmi comunque una forma, di rapprendermi, di fissarmi anche momentaneamente in essa.
Ho fatto sempre ridere i miei amici per le tante... come le chiamate? alterazioni, già, alterazioni de’ miei connotati. Ma avete potuto riderne, perché non vi siete mai affondati a considerare il mio bisogno smanioso di presentarmi a me stesso nello specchio con un aspetto diverso, di illudermi di non esser sempre quell'uno, di vedermi un altro!
Ma sì! Che ho potuto alterare? Sono arrivato, è vero, anche a radermi il capo, per vedermi calvo prima del tempo; e ora mi sono raso i baffi, lasciando la barba; o viceversa; ora mi sono raso baffi e barba; o mi son lasciata crescer questa ora in un modo, ora in un altro, a pizzo, spartita sul mento, a collana... Ho giocato coi peli.
Gli occhi, il naso, la bocca, gli orecchi, il torso, le gambe, le braccia, le mani, non ho potuto mica alterarli. Truccarmi, come un attore di teatro? Ne ho avuto qualche volta la tentazione. Ma poi ho pensato che, sotto la maschera, il mio corpo rimaneva sempre quello... e invecchiava!
Ho cercato di compensarmi con lo spirito. Ah, con lo spirito ho potuto giocar meglio!
Voi pregiate sopra ogni cosa e non vi stancate mai di lodare la costanza dei sentimenti e la coerenza del carattere. E perché? Ma sempre per la stessa ragione! Perché siete vigliacchi, perché avete paura di voi stessi, cioè di perdere - mutando - la realtà che vi siete data, e di riconoscere, quindi, che essa non era altro che una vostra illusione, che dunque non esiste alcuna realtà, se non quella che ci diamo noi.
Ma che vuol dire, domando io, darsi una realtà, se non fissarsi in un sentimento, rapprendersi, irrigidirsi, incrostarsi in esso? E dunque, arrestare in noi il perpetuo movimento vitale, far di noi tanti piccoli e miseri stagni in attesa di putrefazione, mentre la vita è flusso continuo, incandescente e indistinto.
Vedi, è questo il pensiero che mi sconvolge e mi rende feroce!La vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e assume forma.
Ogni forma è la morte.

Luigi Pirandello

sabato 30 maggio 2020

El amor...


Paralisi ancora qui

Paralisi ancora qui. Come se la mente si fosse bloccata e lasciasse che i fenomeni naturali mi rotolassero addosso con l'impeto di una valanga - come se dovessi arrivare al fondo dell'inesistenza, della paura assoluta prima di risalire. La mia peggiore abitudine è la paura, la razionalizzazione distruttiva. All'improvviso la mia vita, che aveva sempre fissato con chiarezza obiettivi immediati e a lungo termine, non ne ha più, o così pare.

Sylvia Plath - Diari

Alla fine scoprirai che le cose più leggere

Alla fine scoprirai che le cose più leggere son le uniche che il vento non è riuscito a portar via: un ritornello antico, una carezza al momento giusto, lo sfogliare un libro di poesie, l’odore stesso che aveva un giorno il vento…

Mario Quintana

La parola del desiderio

La solitudine non è essere in piedi
sul molo, all’alba, e guardare l’acqua avidamente.

La solitudine è non poterla dire
per non poterla circondare
per non poterle dare un volto
per non poterla rendere sinonimo di un paesaggio.

La solitudine sarebbe questa rotta melodia delle mie frasi.

Alejandra Pizarnik

mercoledì 27 maggio 2020

Le stazioni si somigliano tutte

Le stazioni si somigliano tutte; poco importa se le luci non riescono a rischiarare più in là del loro alone sbavato, tanto questo è un ambiente che tu conosci a memoria, con l’odore di treno che resta anche dopo che tutti i treni sono partiti, l’odore speciale delle stazioni dopo che è partito l’ultimo treno.

Italo Calvino - Se una notte d’inverno un viaggiatore

Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto

Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore.

Cormac McCarthy, Cavalli selvaggi

martedì 26 maggio 2020

Promemoria dell'amore

Se l'amore ti ha dimenticato
tu rammentalo di nuovo
quando il tuo sguardo sfiora la natura
i pendii, le onde
gli alberi caducifogli
che non dubitano mai delle stagioni
gli animali che escono
dal ventre della madre
sanno già come vivere
come difendersi dai nemici
designati dalla natura.
Bada solo che il ricordo che rivive
non cada sul mucchio
delle aspettative tradite
dei sogni non realizzati. 

Katerina Anghelaki-Rooke

 

Avremmo potuto farne a meno

Avremmo potuto farne a meno
gli alberi fanno troppo rumore,
ma cosa ci stanno a fare
i cavalli, ciascuno per suo conto
avremmo finito per perderci,
fare ritorno, fare
tutto quello che vuoi, certe
volte gli alberi riescono
a crescere in direzione del cielo
aspirando l’esplosione dell’istante
inatteso, aspettando che finisca
di piovere, ispirati dall’istinto
correndo da una parte all’altra
ispidi, istigati dall’isteria,
il cuore pieno di bottoni,
le dita immerse, anguiformi,
com’erano belle dalla barca,
soffiamoci sopra, fine.
Nanni Balestrini

Parole povere

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l’altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.
  Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.
  Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.
  Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c’ero, ero piccolino.
  Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.
  Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.
  Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.
  Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.
  Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.
  Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.
  Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.
  Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa.
  Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l’ho visto.
  Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.
  Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.
  Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.
  Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.
  Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso
ma d’inverno è bello quando si confondono
l’alto con il basso, il bianco con il blu.
  Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.
  Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta
  Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.
  Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu.
  E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l’allegria dei vinti e una tristezza grande.
Pierluigi Cappello

mercoledì 20 maggio 2020

Non so ballare sulle punte

Non so ballare sulle punte –
nessuno mi istruì –
ma spesso, dentro la testa,
una tale gioia mi possiede,
che se avessi nozioni di balletto –
mi esprimerei in piroette
da fare impallidire una troupe –
e ammattire una prima donna,
e anche se non ho gonna di tulle –
o riccioli nei capelli,
né saltello per il pubblico – come un uccellino,
le zampette contro l’aria,
né tuffo il corpo in palle di piuma,
né scorro su ruote di neve
fino a uscire di scena fra gli applausi
e le richieste di bis del pubblico –
e nessuno sa che so quest’arte
che cito – agile – qui –
e nessun manifesto mi vanta –
è tutto esaurito come all’Opera –

Emily Dickinson

domenica 17 maggio 2020

Un nuovo versante dovrà nascere in te

Che bocca deve rosicare il tempo? Quale viso
deve arrivare dopo il mio? Quante volte
il tulle del mio fiato deve riposare
sulla fremente bianchezza della tua schiena?
Attraverseremo insieme le grandi spirali
l’arteria del silenzio stesa, il vuoto
scalino del tempo?
Quante volte dirai: vita, venere, magma – marina
e quante volte ti dirò: sei mio. E i pomeriggi stesi,
le larghe lune, le notti agoniche
senza poterti toccare. Quante volte, amore
un nuovo versante dovrà nascere in te.
E quante volte in me dovrà morire.
Hilda Hilst

Spasimo del distinto

Spasimo del distinto!
Occhi azzurri, giammai
uguali ad occhi azzurri!
La luce che c’è oggi
non è quella di ieri,
né splenderà domani.
Negli infiniti alberi
del mondo, in ogni foglia
sconfigge chiome anonime,
un modo impercettibile
di non essere un’altra.
Le onde,
unanimi alle spiagge,
sorelle, tutte un simile
colore dei capelli,
e quello sguardo azzurro
o grigio, sì. Lo stesso
distinta la grafia
dei loro brevi racconti
d’amore sulla sabbia.
Che gioia, che le cose
non siano mai le stesse,
seppure uguali! Tutta,
tutta la vita è unica!
E se anche non le accusino
né specchi né bilance,
differenze minuscole
assicurano a un’ala
di farfalla, o a un granello
di sabbia, quel piacere
immenso d’esser altre.
Se il vasto tempo intero
fiume oscuro, ci sfugge,
ci lascia nelle mani
imperituri pegni
chiamati giorni, ore,
in cui fummo felici.
Per questo che gli amanti
si promettono i sempre
con l’anima e la bocca.
Di bacio in bacio vivono
girando, come il mare
si vive d’onda in onda,
e non teme di ripetersi.
Ogni abbraccio lui, solo,
unico, di tutti i baci.
E l’amore al sentirlo
bacia, abbraccia cercando
senza fine
un di più dopo l’altro,
nel suo cielo altro cielo.
Somma, si somma, somma,
e così di uno in uno,
ad uno ad uno, va
certo di non finire:
tocca
tetti di eternità.
Pedro Salinas

Tutto questo che vediamo

Tutto questo che vediamo
puó stare in un sogno
che qualcuno ci ha raccontato.
Uno di noi può essere stato
il personaggio nella caldaia
o soltanto il rogo,
la sua cenere.
Un altro, forse, la fumata, il legno,
l’agonia.
Al di là
di quello che vediamo
le potrebbe essere stato indicato uno scolo
anche se sulla sua pelle
sempre la siccità imbrunisce.
Qualcuno è stato
il disgelo
la lingua vorace che ci ha sommerso.
Però sempre ci svegliamo essendo riva.
Con il vestito illeso dalle apparizioni
ci guardiamo negli occhi
durante il giorno
cercando di ricordar dove siamo incagliati.
Tutto questo che facciamo
può stare nel sogno
che qualcuno ha dimenticato.
Jorge Valbuena

Ezio Bosso

I silenzi hanno un suono, anche in musica. Non esiste l’ultima nota, è un dato di fatto. Perché l’ultima nota che suona uno strumento è la nota che inizia l’altro.
Ezio Bosso

mercoledì 13 maggio 2020

A ciò che addietro nell ‘andar ti lasci

A ciò che addietro nell ‘andar ti lasci
non badi ancora, poi che ti concede
di guardar oltre il tempo e innanzi fasci
di speranze t ‘accende, a cui tu miri.
Vai, cosí rischiarato, ove d ‘un sogno
la tentatrice immagine t ‘attiri
o lo sprone ti spinga d ‘un bisogno,
e non ti senti la catena al piede.
Nulla intanto hai davanti: un ‘ombra vana,
un inganno mutevole, una meta
che quanto piú t ‘accosti, s ‘allontana.
Ma non ancor per te scoccata è l ‘ora
di volgerti a guardar dietro, nel breve
cammin percorso, e innanzi si colora
l ‘avvenir tanto piú quanto piú lieve
è il passato che ancor non t’inquïeta.
Pur verrà giorno che ti sentirai
cosi forte chiamar dietro le spalle
donde non puoi far piú ritorno mai,
che per te diverrà fievole, muto
ciò che innanzi t ‘invita, e da te stesso
a guardar ti porrai quanto hai perduto.
Le rose che ti risero da presso
e non curasti, ecco or lontane e gialle.
E con le terga ormai verso il futuro
e gli occhi assorti nel cammin percorso
andrai, men lieto quanto piú sicuro,
riallacciando ognor piú da lontano
le fila che correndo avrai lasciate
sospese, fino a che non apra il piano
d ‘improvviso una fossa alle gravate
membra, e insieme al rimpianto od al rimorso.
Luigi Pirandello

Perché studi così tanto?

Perché studi così tanto?
Quale segreto vai cercando?
La vita te lo rivelerà presto.
Io so già tutto,
senza leggere o scrivere.
Poco tempo fa,
forse solo qualche giorno fa,
ero una ragazza
che camminava in un mondo di colori,
di forme chiare e tangibili.
Tutto era misterioso e qualcosa si nascondeva;
immaginare la sua natura era per me un gioco.
Se tu sapessi com’è terribile
raggiungere tutta la conoscenza all’improvviso
– come se un lampo illuminasse la terra!
Ora vivo in un pianeta di dolore,
trasparente come il ghiaccio.
È come se avessi imparato
tutto in una volta,
in pochi secondi.
Le mie amiche, le mie compagne
si sono fatte donne lentamente.
Io sono diventata vecchia in pochi istanti
e ora tutto è insipido e piatto.
So che dietro non c’è niente;
se ci fosse qualcosa lo vedrei.
 Frida Kahlo

sabato 9 maggio 2020

Nessuno può pensare di portarsi a casa un'alba o un tramonto

Questo è un altro aspetto rasserenante della natura: la sua immensa bellezza è lì per tutti. Nessuno può pensare di portarsi a casa un'alba o un tramonto.
Tiziano Terzani - Un altro giro di giostra

E allora impara a vivere

E allora impara a vivere. Tagliati una bella porzione di torta con le posate d’argento. Impara come fanno le foglie a crescere sugli alberi. Apri gli occhi. Sul raccordo del Green Cities Service e sulle colline di mattoni illuminate di Watertown, la sottile falce di luna nuova sta distesa di schiena, unghia luminosa di Dio, palpebra abbassata di un angelo. Impara come fa la luna a tramontare nel gelo della notte prima di Natale. Apri le narici. Annusa la neve. Lascia che la vita accada.
Sylvia Plath- “Diari”

Non recidere, forbice, quel volto

Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala... Duro il colpo svetta.
E l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.
Eugenio Montale

mercoledì 6 maggio 2020

Il dormire è come un ponte

Il dormire è come un ponte
che va dall’oggi al domani.
E sotto, come un sogno,
scorre l’acqua.
Juan Ramón Jiménez

Finestra

Di colpo – osservi – è venuta,
è venuta di colpo la primavera
che si aspettava da anni.
Ti guardo offerta a quel verde
al vivo alito al vento,
ad altro che ignoro e pavento
– e sto nascosto –
e toccasse il mio cuore ne morrei.
Ma lo so troppo bene se sul grido
dei viali mi sporgo,
troppo dal verde dissimile io
che sui terrazzi un vivo alito muove,
dall’incredibile grillo che quest’anno
spunta a sera tra i tetti di città
– e chiuso sto in me, fasciato di ribrezzo.
Pure, un giorno è bastato.
In quante per una che venne
si sono mosse le nuvole
che strette corrono strette sul verde,
spengono canto e domani
e torvo vogliono il nostro cielo.
Dillo tu allora se ancora lo sai
che sempre sono il tuo canto,
il vivo alito, il tuo
verde perenne, la voce che amò e cantò –
che in gara ora, l’ascolti?
scova sui tetti quel po’ di primavera
e cerca e tenta e ancora si rassegna.
 Vittorio Sereni

martedì 5 maggio 2020

Confidenza

Parlare poi per dirci cosa: quando si scrive si possono calibrare le frasi; invece nei discorsi faccia a faccia c'è il rischio di dire troppo, risvegliare ciò che è sopito.

Domenico Starnone

lunedì 4 maggio 2020

Mi ricapita amore...

Mi ricapita amore, perciò penso al primo, mentre ripiglio il treno.
A vent'anni tento qualche amore scarso. Per una ragazza mi piglia desiderio di andare insieme a un cinema, per un'altra di passeggiare in un'altra città. Le cerco, mi evitano, scrivo loro qualche lettera.
Mi mancano ma non smuovono amore.
Mi scordo di loro imparando a scalare montagne.
Poi incontro Dvora d'estate.
Ci sono creature assegnate che non riescono a incontrarsi mai e s'aggiustano ad amare un'altra persona per rammendare l'assenza. Sono sagge.
Io a vent'anni non conosco gli abbracci e decido di aspettare. Aspetto la creatura assegnata. Sto vigile, imparo a scorrere le facce di una folla in pochi istanti. Ci sono sistemi che insegnano la lettura veloce dei libri, io imparo a leggere una folla al volo.
La setaccio, la scarto tutta, neanche un grano di quelle facce resta nella retina. So sempre che lei non c'è, lei, la assegnata.
Non ho un ritratto in testa da far combaciare sopra una faccia, no, l'assegnazione non dipende dagli occhi, anche se non so da cosa. Aspetto d'incontrarla per saperne la figura.
Aspettare. Questo è il mio verbo a venti anni, un infinito asciutto che non sbrodola di ansia, non sbava speranza. Aspetto a vuoto.
Erri De Luca - “Tre cavalli”

Di sollievo in sollievo

Di sollievo in sollievo, le strisce bianche le carte bianche
un sollievo, di passaggio in passaggio una bicicletta nuova
con la candeggina che spruzza il cimitero.
Di sollievo in sollievo on la giacca bianca che sporge marroncino
sull’abisso, credenza tatuaggi e telefoni in fila, mentre
aspettando l’onorevole Rivulini mi sbottonavo. Di casa in casa
telegrafo, una bicicletta in più per favore se potete in qualche
modo spingere. Di sollievo in sollievo spingete la mia bicicletta
gialla, il mio fumare transitivi. Di sollievo in sollievo tutte
le carte sparse per terra o sul tavolo, lisce per credere
che il futuro m’aspetta.
Che m’aspetti il futuro! Che m’aspetti che m’aspetti il futuro
biblico nella sua grandezza, una sorte contorta non l’ho trovata
facendo il giro delle macellerie.

Amelia Rosselli

Mania di solitudine

Mangio un poco di cena seduto alla chiara finestra.
Nella stanza è già buio e si guarda il cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo – chi sa quante donne
stan mangiando a quest’ora – il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliege, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che fra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi e si sente staccato da tutto.
Basta un po’ di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, così com’è fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l’accettano senza scomporsi: un brusío di silenzio.
Ogni cosa, nel buio, la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d’acque tra l’erbe,
una cena di tutte le cose. Ogni pianta e ogni sasso
vive immobile. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa che vive su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi susurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuoto, lontano dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.

Cesare Pavese

domenica 3 maggio 2020

Ma io preferisco tacere

Ma io preferisco tacere, diceva, non ha senso aggiungere a questo dolore altro dolore o aggiungere al dolore tre piccoli enigmi. Come se il dolore non fosse un enigma sufficiente o come se il dolore non fosse la riposta (enigmatica) a tutti gli enigmi.
Roberto Bolano, Chiamate telefoniche

Son fatta di sogni infranti

Son fatta di
sogni infranti
dettagli inosservati
amori irrisolti
Son fatta di
pianti senza ragione
persone nel cuore
atti impulsivi
Sento la mancanza di
luoghi che non ho conosciuto
esperienze che non ho vissuto
momenti che ho già dimenticato
Sono
amore e affetto costante,
distratta quanto basta
non mi fermo un istante
Già
ho avuto notti insonni
ho perso persone molto care
ho fatto cose non promesse
Molte volte
ho desistito senza tentare
ho pensato a volte di fuggire, per non affrontare
ho sorriso per trattenere il pianto
Sono dispiaciuta
per le cose non cambiate
le amicizie non coltivate
chi ho giudicato
ciò che ho detto
Ho nostalgia
delle persone che ho conosciuto
dei ricordi che ho dimenticato
ed altri che temo di dimenticare,
degli amici che ho perso
Ma continuo a vivere
e imparare.

Martha Medeiros

Calma

Calma.
Permetti che le tue mani
incontrino i loro antichi rettili
perché scivolino
come serpenti
nella profonda foltezza dei miei capelli.
La cupola del mio tempio
è l’ambito che racchiude
la sacrosanta arca dell’alleanza.
Le mie orecchie, i minareti
per i cantici più umidi
della tua lingua.
Inverti l’ordine
dall’alto verso il basso
fai la tua strada di ladrone
scendendo dalla volta
appeso alla più lunga delle mie ciglia.
Sullo scivolo del collo
sdrucciola come il saggio che cerca inutilmente
la quadratura del cerchio
e lanciato fuori di te stesso
percorri la valle tesa
che giace tra i miei due seni
Nella sorgente del mio ombelico
deposita un bacio mercuriale
che s’ingarbugli nei labirinti profondi
per dove si arriva alla stessa memoria
del ventre di mia madre
Da lì in poi
lasciati guidare dalla follia
dall’avarizia del tuo palato
dalla tua vocazione di esploratore
in cerca del Centro della Terra
Sii il minatore che tentoni
scopre le venature del sale
che il mare dimenticò negli antri femminili
dove la vita ha il suo rifugio.
Afferrati all’umida rosa dei venti
più potente degli uragani dei Caraibi
o dei maremoti del Pacifico
Calma la tua sete e le tue furie in me
nel profondo del muschio e delle alghe
che gemendo ti restituisce
alla breve, eterna sicurezza
del paradiso perduto.

Gioconda Belli

Le assassinate

Il minuscolo piede della donna
Fuoriesce da sotto il lenzuolo
Bello il piede, delicato.
Di certo gli piacerebbe andare con le unghie dipinte
Indossare scarpe alte ed eleganti.
L’altro piede conserva, tuttavia,
Il sandalo del quotidiano, da lavoro.
Non è difficile immaginarla contenta e spumeggiante
Quando vende arance o verdure al mercato
—Che vuole, signorina? Le faccio un buon prezzo—
E parla con la vicina della rampa
Mentre s’asciuga con lo strofinaccio
Perché fa caldo
È di quelle che arrivano a casa e mettono il figlio a fare i compiti
—Studia, ragazzo, sennò non diventerai mai nessuno—
E lava e stira
E quando il figlio dorme
Mentre guarda le notizie nel minuscolo televisore
Di fronte al letto,
Tira fuori la lima, l’acetone, si toglie la vecchia tinta dalle unghie
E con cura se le dipinge allo scorrere degli annunci.
Il giorno seguente,
Lo sposo, o lo scartato
Arriverà con la gelosia, la pendenza e l’orgoglio.
Sarà il grido, la manata
Ad ammazzarla affondandole un coltello nel petto.
Ancora incredula.
Lei cadrà al suolo di spalle.
Nella foto del quotidiano
Noi stessi vedremo il piede delicato
Spuntare da sotto il lenzuolo che copre il cadavere.
Vedremo l’altro piede ancora col sandalo su.
Piedi tristi. Senza neanche una padrona che le dipinga le unghie.

Piedi tristi. Un quotidiano.
A raccontare la stessa storia. 

Gioconda Belli

sabato 2 maggio 2020

Non cresciamo in modo assoluto

Non cresciamo in modo assoluto, cronologicamente. Talvolta cresciamo in una dimensione, e non in un’altra, in modo discontinuo. Cresciamo parzialmente. Siamo relativi. Siamo maturi in un campo, infantili in un altro. Passato, presente e futuro si mescolano e ci spingono indietro, avanti, o ci fissano nel presente. Siamo fatti di strati, di cellule, di costellazioni. Non buttiamo mai via la nostra infanzia. Non le sfuggiamo mai del tutto. Ne riviviamo dei frammenti attraverso gli altri. Attraverso altri, viviamo degli strati sepolti. Viviamo attraverso le altrui proiezioni di io non vissuti.

Anaïs Nin - ” Diario IV 1944-1947 (Gennaio, 1946)”

Quante volte avremmo voluto

Quante volte avremmo voluto
fissar nella carta bianca l’emozione,
il nostro amore quasi carnale per la zolla grassa,
bollente, coperta di verdura robusta,
per la spiga pesante che il sole abbrustolisce,
per il grappolo azzurro, lustro,
turgido come una mammella,
per il ramo curvo carico di frutta.

Ardengo Soffici