Quanto ai nostri poeti ‘seri’, come
si dice, quelli delle tragedie, se alcuni di questi venuti da noi ci
interrogassero press’a poco così: «Ospiti, possiamo frequentare la vostra città
e la vostra regione o no? Possiamo
portarvi ed introdurvi le nostre opere o come avete deciso di fare per questa
materia?», se ci interrogassero così che cosa mai dunque potremmo correttamente rispondere a
questi uomini divini, a queste domande? A me infatti sembra che potremmo dir
così: «Ospiti illustrissimi, noi stessi siamo poeti di una tragedia e, per
quanto si possa, della migliore, della più bella; tutta la nostra costituzione è stata organizzata come imitazione della
vita più nobile e più elevata e diciamo che questa è in realtà la tragedia più
vicina alla natura della verità. Poeti siete voi, poeti siamo anche noi
delle stesse cose, vostri rivali nell’arte e nella rappresentazione del dramma
più bello che solo la vera legge, per natura, può realizzare, come è la nostra
speranza ora. Non pensate che così
facilmente vi permettiamo di piantare le vostre scene nelle nostre piazze e di
introdurvi attori dalla bella voce, che grideranno più di noi, non pensate che
vi permetteremo di arringare i giovani e le donne e tutta la turba del popolo,
che vi lasciamo parlare sugli stessi costumi in modo diverso dal nostro, e che
vi lasciamo dire in maggior numero, e per lo più, cose contrarie rispetto a
quelle che diciamo noi. Saremmo
diventati quasi completamente pazzi, noi e tutto lo stato, qualsiasi stato vi
lasciasse fare le cose dette ora prima che i magistrati abbiano giudicato se
quello che voi avete composto può esser detto ed è meritevole di essere
divulgato fra i cittadini o non lo è affatto. Ora voi, figli delle
dodici Muse, mostrate dunque ai magistrati i vostri carmi, prima di tutto,
accanto ai nostri, e se risulterà che
voi dite le stesse cose che noi diciamo, o anche se le direte migliori, noi vi
apriremo i teatri, ma se non è così, amici, noi proprio mai potremmo farlo».
PLATONE (428/427
– 347 a.C. ), “Leggi”, trad. di Attilio Zadro, in ID., “Opere”, Laterza, Bari
1966, 2 voll., vol. II, VII, XIX, 817a – 818e, pp. 822 – 823.
Nessun commento:
Posta un commento