LETTERA SECONDA
19 giugno, di notte
Voi liberate in me il mio essere femminile, il mio
essere più oscuro e recondito. Non per questo vedo
peggio. Tutta la mia chiaroveggenza intatta con, in
più, il beato diritto alla cecità.
Mio tenero (che mi fa...), con tutto il mio essere indivisibilmente doppio,
doppiamente e indissolubilmente uno, con tutto il mio essere di spada a doppio
taglio (dotata di una rassicurante virtù: ferire me soltanto) io voglio in voi,
in-voi,
come nella notte. "Strofe e sogni" — più semplicemente: leggere e
dormire. (Le parole che voi lasciate cadere, io le conservo tutte.)
Quanti hanno visto in me soltanto delle strofe!
Tutto con l'anima, amico, e tutto — indietro, nell'anima. (Un getto d'acqua
che si autoalimenta. Le fontane del Re Sole.) La pelle come tale non esiste.
Voi, voi lo sapete, con il vostro fiuto animale, fiuto geniale. Pelliccia, manto
— non solo delle bestie, ma anche delle
piante: pino, abete, il mio amatissimo ginepro...
E se debbo dirvi in colori, voi siete bruno. Come i vostri occhi.
Caro, non ho mai scritto a nessuno lettere simili
(da quando tengo in mano la penna, — no, da
quando la penna mi tiene, — no, dal tempo lontano
delle mie piume d'angelo — sempre, a tutti. E tuttavia — credetemi).
Uomo, io so tutto, vi so superficiale, leggero, vuoto,
ma la vostra animalità profonda mi tocca più in profondità di altre anime.
Sapete così bene aver freddo,
aver caldo, aver fame, aver sonno. Senza il vostro
vuoto c'è il vuoto che possiamo immaginare soltanto
pieno di astri o di atomi, e cioè popolato di mondi viventi. Siate vuoto finché
lo vorrete, finché lo potrete — io sono la vita che non patisce il vuoto.
Bambino mio (permettetemi di chiamarvi così...),
mio piccolo ragazzo! Se a volte non vi rispondo direttamente, è che ci sono
parole che non devono essere
pronunciate tra certi muri, che nemmeno l'aria, tra
certe pareti, può tollerare. I muri, invece, sopportano
tutto e non soffrono di nulla, ed è l'unica cosa che io
non posso soffrire, e sono loro che più mi fanno soffrire. Giacché, sappiatelo:
quella che voi ritenete creatura di parole per eccellenza, nelle grandi ore
della sua vita è una spartana con il suo volpacchiotto. (Lasciatemi scherzare un
po': con tutta una cucciolata di volpacchiotti!)
Siete iperamato (iperalimentato d'amore) nella
vita? Probabilmente sì. Ma quello che so (doveste
anche sentirlo per la millesima volta!) è che mai nessuno (nessuna!) vi ha
così... Ogni millesima volta ha la
sua milleunesima. Così, per me, non è una misura di
peso, né di quantità, né di durata, è un valore di qualità: di identità. Io non
vi amo né tanto, né a tal punto, né fino a... — io vi amo così. (Non vi amo
tanto, vi amo
come.)
Oh, molte donne vi hanno amato e vi ameranno con maggior
forza. Tutte — di più. Nessuna —
così.
Se il mio amore resta unico nelle vite, è solo per
la sua doppia identità: con l'amato e con me stessa.
Per questo non viene mai preso per amore.
"Amatemi grande, amatemi bello, amatemi diverso!" Per quanto mi riguarda, ho
sempre voluto e addirittura preteso di essere amata come sono — per ciò
che sono — perché sono. Non per ciò che, secondo voi,
potrei, dovrei, avrei dovuto essere. Che si ami me e non
l'essere ideale e falso partorito dalla fantasia di un
poeta di terz'ordine e dell'ultima ora che può essere
così folle d'amore solo se non è poeta nato, pensatore
nato. Ho sempre preferito essere fotografata, riflessa,
ripetuta, maltrattata da quell'indifferente che è l'obiettivo, piuttosto che
ritratta — cioè ben trattata, idealizzata, animata, da un pittore di cui non
sono neanche sicura che abbia un'anima, e che spesso è solo una
mano mossa da una sola — sempre la stessa — mania.
Non trattatemi peggio di quanto la natura abbia
fatto — e di quanto lo specchio non faccia — è tutto
quello che, in piena umiltà, io chiedo al pittore e all'amante. "Ogni volto non
è che un punto di partenza." Giusto, ma avete un'idea della mia (della sua)
direzione? Di quello che sarebbe realmente stato di
me, di dove sarei realmente arrivata, se... Riuscite a
seguirmi — voi che mi volete superare per indicarmi
la direzione giusta? Un grande maestro può creare
l'ideale: ciò che doveva essere, la realtà in potenza.
Alta realtà. Gli altri, i
petits-maîtres
dell'arte e dell'amore, possono fare (dipingere, amare) soltanto dal
vero. E voi — voi fate
me,
se potete.
Ho sempre preferito essere conosciuta e odiata
piuttosto che inventata e amata. Fissatemi con tutta la
forza del vostro sguardo, oppure andate a 'creare' una
donna qualunque, la vicina di casa, che potrà esservi
solo riconoscente e si riconoscerà in ognuno dei vostri 'ritratti' perché lei —
lei non si conosce, per il
semplice motivo che in lei non c'è nulla da conoscere.
È il nulla che si presta a tutte le forme. Quanto a me,
sono già creata, ed è stato Dio a crearmi. È sufficiente
un'unica creazione. È sufficiente
quel
Creatore.
Io mi identificherei unicamente nell'amore di chi
mi avesse scelta fra tutte le creature passate, presenti,
future, maschili, femminili — creature dell'acqua, del
fuoco, dell'aria, della terra, del cielo. E fra tutte le altre
ancora, giacché esistono altri pianeti!
Così sono io. Se vi do pena — perdonatemi di
essere.
Marina Cvetaeva - Le notti fiorentine
(Le epistole sono dedicate ad Abram Vishnjak,
fondatore della casa editrice Gelikon, che negli anni ‘20 aveva pubblicato
alcuni versi di Marina Cvetaeva)
2 commenti:
. . . Buongiorno Linda,
tempo fa lessi le sue Lettere spedite a Rainer
Maria Rilke: un lessico a dir poco vibrante, una spirale di desiderio descritto nelle sue parole in modo davvero unico e la considero una tra le donne più affascinanti in quanto grazie alle sue poesie ti avvicina al suo "sentire" in quanto "dolore" . . .
. . . Ti auguro una serena Domenica cara Linda,
quanto è bello proiettarsi nel tuo cielo, grazie per le emozioni che ci permetti di condividere . . .
StellA*
Adoro la Cvetaeva...
Grazie cara StellA*, sei sempre gentile...un abbraccio.
L.
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