Ecco che mi sorprendo a rivolgerti la parola,
Mio Dio, io che ancora non so se esisti
E non comprendo la lingua delle tue chiese bisbiglianti.
Guardo gli altari, la volta della tua dimora,
Come chi dica semplicemente: ecco il legno, la pietra,
Ecco le colonne romane.
A questo santo manca il naso.
E dentro come fuori, c’è l’angoscia umana.
Abbasso gli occhi senza potermi inginocchiare durante la messa,
Come se lasciassi passare il temporale sulla mia testa.
E non posso impedirmi di pensare a tutt’altra cosa.
Ahimè! Avrò passato la mia vita a pensare a un’altra cosa.
Quest’altra cosa, sono sempre io.
È forse il mio vero io.
È là che mi rifugio.
È la che forse tu sei.
Non avrei vissuto che in queste lontananze attraenti.
Il momento presente è un regalo del quale non ho saputo approfittare.
Non ne conosco bene l’uso.
Lo giro in ogni senso,
Senza saper avviare il suo complicato meccanismo.
Mio Dio, io che ancora non so se esisti
E non comprendo la lingua delle tue chiese bisbiglianti.
Guardo gli altari, la volta della tua dimora,
Come chi dica semplicemente: ecco il legno, la pietra,
Ecco le colonne romane.
A questo santo manca il naso.
E dentro come fuori, c’è l’angoscia umana.
Abbasso gli occhi senza potermi inginocchiare durante la messa,
Come se lasciassi passare il temporale sulla mia testa.
E non posso impedirmi di pensare a tutt’altra cosa.
Ahimè! Avrò passato la mia vita a pensare a un’altra cosa.
Quest’altra cosa, sono sempre io.
È forse il mio vero io.
È là che mi rifugio.
È la che forse tu sei.
Non avrei vissuto che in queste lontananze attraenti.
Il momento presente è un regalo del quale non ho saputo approfittare.
Non ne conosco bene l’uso.
Lo giro in ogni senso,
Senza saper avviare il suo complicato meccanismo.
Jules Supervielle (da “La favola del mondo”, 1937)
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