E lo scienziato ceco? Con la
lingua incollata al dente che dondola, sta pensando: ecco che cosa resta
di tutta la mia vita, un dente che dondola e il terrore di essere
costretto a portare la dentiera. Nient'altro? Proprio niente niente?
Niente. In un lampo, tutto il suo passato gli appare non come
un'avventura sublime, ricca di avvenimenti drammatici ed eccezionali, ma
come il minuscolo frammento di un'accozzaglia di eventi confusi che
hanno attraversato il pianeta a una tale velocità da impedire a chiunque
di distinguerne la fisionomia, sicché forse Berck ha avuto ragione a
prenderlo per un ungherese o per un polacco, perché forse lui è davvero
ungherese, polacco, o magari turco, o russo - o addirittura un bambino
somalo moribondo. Quando gli eventi accadono troppo rapidamente nessuno
può essere sicuro di niente, assolutamente di niente, neppure di se
stesso. Rievocando la notte di Madame de T., ho citato la ben nota
equazione contenuta in uno dei primi capitoli del manuale di matematica
esistenziale: il grado di velocità è direttamente proporzionale
all'intensità dell'oblio. Da tale equazione si possono dedurre diversi
corollari, per esempio il seguente: la nostra epoca si abbandona al
demone della velocità ed è per questo motivo che dimentica tanto
facilmente se stessa. Ma io preferisco rovesciare questa affermazione:
la nostra epoca è ossessionata dal desiderio di dimenticare, ed è per
realizzare tale desiderio che si abbandona al demone della velocità: se
accelera il passo è perché vuole farci capire che ormai non aspira più
ad essere ricordata; che è stanca di se stessa, disgustata di se stessa;
che vuole spegnere la tremula fiammella della memoria.
Milan Kundera, La lentezza
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