O poesia,
non posso fare a meno di nominarti
col tuo nome che non amano più quelli che errano
oggi tra le rovine della parola.
prendo il rischio di rivolgermi a te, direttamente,
come nell’eloquenza delle epoche
in cui si ponevano, alla vigilia del dì di festa,
in vetta alle colonne delle grandi sale,
ghirlande di fiori e frutti.
questo faccio, fidando che la memoria
che insegna semplici parole a chi tenta
di far essere il senso malgrado l’enigma,
lo porti a decifrare, nelle sue grandi pagine,
il tuo nome uno e molteplice, dove arderanno
in silenzio, fuoco chiaro,
i rami dei suoi dubbi e paure.
“guardate, dirà, nell’unico libro,
che si scrive attraverso i secoli, vedete crescere
i segni delle immagini. e i monti
inazzurrarsi in lontananza, per essere la vostra terra.
ascoltate la musica che delucida
col flauto sapiente alla cima delle cose
il suono del colore in ciò che è”.
o poesia,
so che ti disprezzano e ti negano,
che ti ritengono teatro, anzi menzogna,
che ti accollano le colpe del linguaggio,
che dicono cattiva l’acqua che tu porti
a quelli che pur desiderano bere
e delusi si voltano, verso la morte.
ed è vero che la notte gonfia le parole,
venti voltano le pagine,
fuochi respingono
le bestie spaventate fin sotto i nostri passi.
abbiamo forse creduto che ci portava lontano
il cammino che si perde nell’evidenza?
no, le immagini urtano l’acqua che sale,
la loro sintassi è incoerenza, cenere,
e ben presto non più immagini,
non più libro, non più gran corpo caldo del mondo,
da stringere colle braccia del desiderio.
ma so anche che non vi è alba stella
che si muova, misteriosa, auguralmente
nel cielo illusorio degli astri,
se non la tua barca sempre oscura, ma dove ombre
si raccolgono in prua, e perfino cantano,
come un tempo a quelli che arrivano, ingrandiva,
di fronte, al termine del lungo viaggio,
la terra nella schiuma, e il faro splendeva.
e se rimane
altro che vento, scoglio, nome,
so che tu sarai, anche nella notte,
l’àncora gettata, i passi barcollanti sulla sabbia,
e la legna che si ammassa, e la scintilla
sotto i rami bagnati, e nell’inquieta
attesa della fiamma che vacilla,
la prima parola dopo il lungo silenzio,
il primo fuoco che prende nel basso del mondo morto.
Yves Bonnefoy
non posso fare a meno di nominarti
col tuo nome che non amano più quelli che errano
oggi tra le rovine della parola.
prendo il rischio di rivolgermi a te, direttamente,
come nell’eloquenza delle epoche
in cui si ponevano, alla vigilia del dì di festa,
in vetta alle colonne delle grandi sale,
ghirlande di fiori e frutti.
questo faccio, fidando che la memoria
che insegna semplici parole a chi tenta
di far essere il senso malgrado l’enigma,
lo porti a decifrare, nelle sue grandi pagine,
il tuo nome uno e molteplice, dove arderanno
in silenzio, fuoco chiaro,
i rami dei suoi dubbi e paure.
“guardate, dirà, nell’unico libro,
che si scrive attraverso i secoli, vedete crescere
i segni delle immagini. e i monti
inazzurrarsi in lontananza, per essere la vostra terra.
ascoltate la musica che delucida
col flauto sapiente alla cima delle cose
il suono del colore in ciò che è”.
o poesia,
so che ti disprezzano e ti negano,
che ti ritengono teatro, anzi menzogna,
che ti accollano le colpe del linguaggio,
che dicono cattiva l’acqua che tu porti
a quelli che pur desiderano bere
e delusi si voltano, verso la morte.
ed è vero che la notte gonfia le parole,
venti voltano le pagine,
fuochi respingono
le bestie spaventate fin sotto i nostri passi.
abbiamo forse creduto che ci portava lontano
il cammino che si perde nell’evidenza?
no, le immagini urtano l’acqua che sale,
la loro sintassi è incoerenza, cenere,
e ben presto non più immagini,
non più libro, non più gran corpo caldo del mondo,
da stringere colle braccia del desiderio.
ma so anche che non vi è alba stella
che si muova, misteriosa, auguralmente
nel cielo illusorio degli astri,
se non la tua barca sempre oscura, ma dove ombre
si raccolgono in prua, e perfino cantano,
come un tempo a quelli che arrivano, ingrandiva,
di fronte, al termine del lungo viaggio,
la terra nella schiuma, e il faro splendeva.
e se rimane
altro che vento, scoglio, nome,
so che tu sarai, anche nella notte,
l’àncora gettata, i passi barcollanti sulla sabbia,
e la legna che si ammassa, e la scintilla
sotto i rami bagnati, e nell’inquieta
attesa della fiamma che vacilla,
la prima parola dopo il lungo silenzio,
il primo fuoco che prende nel basso del mondo morto.
Yves Bonnefoy
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