I
Ci fu un tempo,
tempo dell’invenzione e dell’errore,
in cui la solitudine era uno splendido e spaventoso
esilio, in cui cospirare contro la lezione che non
si voleva apprendere e spiare il mistero che si voleva
estorcere.
Era una grotta umida che imbrigliava la luce tra le felci,
era l’angolo dei castighi dove le lacrime nascoste
levavano, finalmente, la loro sovranità,
era l’incubo che soffiava imprigionato in un’alcova
sconosciuta,
o un cuore ripiegato nel suo nascondiglio che tramava
appuntamenti e vendette, ribellioni e segreti proibiti.
Era il tempo dell’infanzia e la solitudine accendeva il suo
bengala dietro lo scudo impenetrabile del silenzio.
E il punto ombroso dove riparava era solo
l’incantato rifugio al suo splendore irriducibile e glorioso.
II
Ci fu un tempo in cui l’amore era
un intruso temuto e atteso.
Uno sfiorare clandestino, premeditato, rielaborato
in insopportabili veglie.
Una confessione audace e confusa, corretta mille
volte, che mai sarebbe giunta al dovuto compimento.
Un’incessante e tirannica inquietudine.
Un galoppare repentino del cuore, ingovernabile.
Un continuo lottare contro la spietata precisione
degli specchi.
Un’intima difficoltà nel distinguere l’angoscia dal
piacere.
Era un tempo adolescente e indefinito, il tempo
dell’amore senza nome, quasi senza volto, che errava,
come un bacio promesso, lungo il punto più ombroso della
scala.
III
Ci fu un tempo
in cui il tempo non era fluire:
era una treccia di sabbia che si pettinava ininterrottamente.
I suoi tre capi si intrecciavano, si fondevano tra loro ben distinti
e inseparabili.
Niente si posponeva. Niente si anteponeva:
era un tempo predestinato da un singolare decreto, un’elica
che, girando, si annullava in una ruota invisibile
dentro il suo stesso bagliore.
Non era un’età né una condizione, era il tempo senza tempo
della felicità perfetta. Dell’accordo. Dell’immobile e sconfinata
durata dell’estasi.
Era il punto unico e misterioso in cui convergeva il tempo
della memoria, della profezia e degli angeli.
Ana Rossetti
Ci fu un tempo,
tempo dell’invenzione e dell’errore,
in cui la solitudine era uno splendido e spaventoso
esilio, in cui cospirare contro la lezione che non
si voleva apprendere e spiare il mistero che si voleva
estorcere.
Era una grotta umida che imbrigliava la luce tra le felci,
era l’angolo dei castighi dove le lacrime nascoste
levavano, finalmente, la loro sovranità,
era l’incubo che soffiava imprigionato in un’alcova
sconosciuta,
o un cuore ripiegato nel suo nascondiglio che tramava
appuntamenti e vendette, ribellioni e segreti proibiti.
Era il tempo dell’infanzia e la solitudine accendeva il suo
bengala dietro lo scudo impenetrabile del silenzio.
E il punto ombroso dove riparava era solo
l’incantato rifugio al suo splendore irriducibile e glorioso.
II
Ci fu un tempo in cui l’amore era
un intruso temuto e atteso.
Uno sfiorare clandestino, premeditato, rielaborato
in insopportabili veglie.
Una confessione audace e confusa, corretta mille
volte, che mai sarebbe giunta al dovuto compimento.
Un’incessante e tirannica inquietudine.
Un galoppare repentino del cuore, ingovernabile.
Un continuo lottare contro la spietata precisione
degli specchi.
Un’intima difficoltà nel distinguere l’angoscia dal
piacere.
Era un tempo adolescente e indefinito, il tempo
dell’amore senza nome, quasi senza volto, che errava,
come un bacio promesso, lungo il punto più ombroso della
scala.
III
Ci fu un tempo
in cui il tempo non era fluire:
era una treccia di sabbia che si pettinava ininterrottamente.
I suoi tre capi si intrecciavano, si fondevano tra loro ben distinti
e inseparabili.
Niente si posponeva. Niente si anteponeva:
era un tempo predestinato da un singolare decreto, un’elica
che, girando, si annullava in una ruota invisibile
dentro il suo stesso bagliore.
Non era un’età né una condizione, era il tempo senza tempo
della felicità perfetta. Dell’accordo. Dell’immobile e sconfinata
durata dell’estasi.
Era il punto unico e misterioso in cui convergeva il tempo
della memoria, della profezia e degli angeli.
Ana Rossetti
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