…Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare… io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.

...solo un sogno, un'emozione...una nuvola...solo un alito di vento che ti sfiora, solo l'eco dei tuoi passi nella sera...

domenica 30 giugno 2013

Sgretolarsi

Sgretolarsi non è Atto di un istante
Una pausa fondamentale
I processi di Disgregazione
Sono Decadimenti organizzati -

È prima una Ragnatela nell'Anima
Una Cuticola di Polvere
Un Tarlo nell'Asse
Una Ruggine Primordiale -

La Rovina è metodica - i Diavoli lavorano
Costanti e lenti -
Nessuno, si perde in un istante
Scivolare - è la legge del Crollo -

Emily Dickinson

E scegliere di andarsene. Per sempre.

Caro Amore,
guardare in faccia la vita, guardarla attentamente e capirla al fine unico di comprenderla, amarla, e scegliere di metterla da parte, scegliere di lasciarla alla sua bellezza universale e andarsene insieme agli anni vissuti e trascorsi insieme. Ai giorni. All’amore.
Andarsene via insieme a tutto quello che la vita stessa unita alla consapevolezza della morte e al desiderio intrinseco di quest’ultima ci hanno regalato. E poi attimi. Istanti eterni…
Lasciarsi guidare in un mondo che volevo ma che non hai voluto tu. Fa che sul mio viso non scompaia mai il tuo sorriso, il tuo amarmi e il mio non voler… cosa? Farmi amare, forse. Farti soffrire, probabilmente. Mostrarti parti di me che spaventano persino me stessa, sicuramente. Me ne andrò dalla tua vita, per non farci ulteriormente del male, per non urtarci con i nostri ricatti morali, con il nostro troppo e il nostro troppo poco. Quando verrà la tua assenza mi sentirò impreparata, ancora legata a te. E tu?
Che cosa farai?
Ed io, su quale cuscino scioglierò i miei capelli?
Dove porterò quel sorriso e la mia valigia piena di vestiti che conosci?
Una frenesia nel cuore, un dubbio atroce: è finito tutto oppure non è cominciato? Fuori tutto il mondo ed ogni cosa stanno al suo posto, gli orologi girano le ore e tutto quanto il resto.
Amore mio fermami, da questi pensieri troppo fragili, da queste fiale troppo complici, dai sorrisi troppo ironici, dalla troppa solitudine.
Guardare la vita, guardarla attentamente e tentare di comprenderla al fine di amarla e scegliere di metterla da parte. Di andarsene insieme a quello che ci ha legati. Alle parole. L’amore. L’oblio.
Insieme alle ore. Quelle ore che non avranno più sorelle. E scegliere di andarsene.
Per sempre.
Virginia Woolf

Oggi

Oggi tutto mi pare valicato
oggi il mio cuore
non è altro
che un battito di nostalgia.
Giuseppe Ungaretti

C’è qualcosa tra noi

C’è qualcosa tra noi
si vede da come mi guardi
e da come m’accendo.
A tratti ci smarriamo
a tratti una stessa cosa
la pensiamo tutti e due.
Riprendiamo però il discorso
sempre con allegria
perché c’è tra noi qualcosa,
che troviamo e poi si perde,
perché così vogliamo,
lo vogliamo tutti e due.
Ed è un atto superfluo,
che nessuno ci chiede,
fingere che non sia:
a te luccica negli occhi
a me brilla nella lingua. 
Nahit Ulvi Akgun

Incontro di due mani

Incontro di due mani
in cerca di stelle,
nella notte!
Con che pressione immensa
si sentono le purezze immortali!
Dolci, quelle due dimenticano
la loro ricerca senza sosta,
e incontrano, un istante,
nel loro circolo chiuso,
quel che cercavano da sole.
Rassegnazione d’amore,
tanto infinita come l’impossibile!
Juan Ramon Jimenez

giovedì 27 giugno 2013

Sonetto dell'assenza

Mi senti, amore? C’è un rombo di treni,
o di follatrici o di trebbiatrici
che ti allontana da me. No, non dirmi
che te ne andrai per sempre. Le banchine
si sono svuotate. Io torno. Soffri
perché soffri, cuore. Non continuare,
non continuare ad andare. Altri affanni,
altro amore perduto se non vieni.
Ah, dolore, so cosa mi succede.
Senza te non è più mia la mia casa,
l’aria non si respira e non si scalda.
So che sei dentro di me, ma non basta
benché penetri nelle ossa, finché
continua la pena che provi tu.
José Albi

Antielegia

Il mio unico tema è quel che non è più
E la mia ossessione il tempo perduto.
Il mio pungente ritornello è “mai più”.
Eppure amo questo continuo mutamento,
questo variare istante dopo istante:
senza di esso ciò che chiamiamo vita
sarebbe di pietra.
José Emilio Pacheco

Certe notti, la paura

Certe notti, mi addosso
al tuo calore sotto le coperte
come un bambino spaventato.
Ho bisogno di toccarti
con urgenza. Ho bisogno
di sapere che sei qui,
che ci sarai per sempre. Sentire
che ho accanto un essere umano,
e che non sono così solo.
.Karmelo C. Iribarren
(da La ciudad, 2002) 

Giorno per giorno

1
"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…"
E il volto già scomparso
ma gli occhi ancora vivi
dal guanciale volgeva alla finestra,
e riempivano passeri la stanza
verso le briciole dal babbo sparse
per distrarre il suo bimbo...
2
Ora potrò baciare solo in sogno
le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch’io regga a tanta notte?...
3
Mi porteranno gli anni
chissà quali altri orrori,
ma ti sentivo accanto,
m’avresti consolato...
4
Mai, non saprete mai come m’illumina
l’ombra che mi si pone a lato, timida,
quando non spero più...
5
Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce
che in corsa risuonando per le stanze,
sollevava dai crucci un uomo stanco?...
La terra l’ha disfatta, la protegge
un passato di favola...
6
Ogni altra voce è un’eco che si spegne
ora che una mi chiama
dalle vette immortali...
7
In cielo cerco il tuo felice volto,
ed i miei occhi in me null’altro vedano
quando anch’essi vorrà chiudere Iddio...
8
E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!...
9
Inferocita terra, immane mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il martoriato corpo...
Non conta… Ascolto sempre più distinta
quella voce d’anima
che non seppi difendere quaggiù...
M’isola, sempre più festosa e amica
di minuto in minuto,
nel suo segreto semplice...
10
Sono tornato ai colli, ai pini amati
e del ritmo dell’aria il patrio accento
che non riudrò con te,
mi spezza ad ogni soffio...
11
Passa la rondine e con essa estate,
e anch’io, mi dico, passerò...
Ma resti dell’amore che mi strazia
non solo segno un breve appannamento
se dall’inferno arrivo a qualche quiete...
12
Sotto la scure il disilluso ramo
cadendo si lamenta appena, meno
che non la foglia al tocco della brezza...
E fu la furia che abbatté la tenera
forma e la premurosa
carità d’una voce mi consuma...
13
Non più furori reca a me l’estate,
né primavera i suoi presentimenti;
puoi declinare, autunno,
con le tue stolte glorie:
per uno spoglio desiderio, inverno
distende la stagione più clemente!...
14
Già m’è nelle ossa scesa
l’autunnale secchezza,
ma, protratto dalle ombre,
sopravviene infinito
un demente fulgore:
la tortura segreta del crepuscolo
inabissato...
15
Rievocherò senza rimorso sempre
un’incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: “Un’anima è partita
dal comune castigo ancora illesa...”
Mi abbatterà meno di non più udire
i gridi vivi della sua purezza
che di sentire quasi estinto in me
il fremito pauroso della colpa?
16
Agli abbagli che squillano dai vetri
squadra un riflesso alla tovaglia l’ombra,
tornano al lustro labile d’un orcio
gonfie ortensie dall’aiuola, un rondone ebbro,
il grattacielo in vampe delle nuvole,
sull’albero, saltelli d’un bimbetto...
Inesauribile fragore di onde
si dà che giunga allora nella stanza
e alla freschezza inquieta d’una linea
azzurra, ogni parete si dilegua...
17
Fa dolce e forse qui vicino passi
dicendo: “Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l’aurora e intatto giorno”.
.Giuseppe Ungaretti
(da Il Dolore, 1947)

Eclisse, XXXIII

Ora è un tempo che non mi basta
La tua fronte non è più cielo,
da quel mio cielo sole non cade,
da quel sole luce non prende
e colore il mio giorno.
A queste mani non sono più erba
i tuoi freschi capelli nella siepe
ove si andava per tenere strade
in fondo al bosco degli occhi.
Ora è un tempo che non dona pietà.
Libero De Libero
(da Eclisse, 1940)

mercoledì 26 giugno 2013

Non sei gli altri

No, non ti sal­verà quanto lasciarono
Scritto coloro che temendo implori;
tu non sei gli altri, ti trovi nel centro
del labi­rinto ordito dai tuoi passi.
Non ti sal­ve­ranno l’agonia di Cristo
O di Socrate, non ti salva Budda,
l’aureo Sid­d­harta che accettò la morte
in un giar­dino, al cadere del giorno.
È pol­vere anche la parola scritta
Dalla tua mano, la sil­laba detta
Dalla tua bocca. È impie­tosa la sorte
E la notte di Dio non ha mai fine.
La tua mate­ria è il tempo, l’incessante
Tempo. Sei tutti gli istanti e ogni istante.
 Jorge Luis Bor­ges

E questa vuota follia d’uomo

E que­sta vuota fol­lia d’uomo
Tutti i suoi ran­toli i più atroci e sguaiati
Poi la sua pace di nuda cosa
Dalla vita sen­tivo torturata
Uscire come da un cane solo
Sup­pli­ca­zione dormi nei deserti
In cana­loni di oranti fertili
E in quella pol­vere sonora traccia
Appena ti dise­gni. Le alzate braccia
Dalla disfatta scam­pino i dispersi
Con­so­la­menti
Quando vien su da un’acqua di pisciosa
Carne infi­nita rosa
E tra le teste salti della buia
Mise­ria il pesce della sua luce
Col suo cri­mine in bocca l’inguardabile grugnc
Il chia­rore ne afferra, stretto pugno
E tu strin­gevi un bisturi per pianti
Li aprivi da con­su­mato artista
Poi recli­navi accanto alla vora­gine la testa
Come fosse una testa
 Guido Cero­netti

Per così dire, auguravo loro...

Per così dire, auguravo loro tutto il bene del mondo, come ai personaggi di un romanzo o di un film dei quali si prendono le parti sin dall’inizio, ben sapendo che qualcosa di brutto accadrà loro, che qualcosa andrà storto a un certo punto, altrimenti non ci sarebbe romanzo né film. Nella vita reale, tuttavia, non per forza doveva andare in quel modo e io speravo di continuare a vederli ogni mattina così com’erano, senza scoprirli un giorno con disinteresse unilaterale o vicendevole e senza sapere cosa dirsi, impazienti di separarsi, con un atteggiamento d’irritazione reciproca o d’indifferenza. Erano il breve e modesto spettacolo che mi metteva di buonumore prima di entrare nella casa editrice e litigare con il mio capo megalomane e con i suoi fastidiosi autori. Se Luisa e Desvern si assentavano per qualche giorno, ne sentivo la mancanza e affrontavo la mia giornata con più fastidio. In qualche misura mi sentivo in debito con loro, perché, senza saperlo e senza volere, mi aiutavano giorno dopo giorno e mi permettevano di fantasticare sulla loro vita che mi appariva senza macchia, tanto che mi rallegravo di non potermi informare né di verificare nulla al riguardo, e così non uscire dal mio incanto passeggero (la mia aveva molte macchie, e la verità è che non tornavo a ricordarmi di loro fino al mattino seguente, mentre maledicevo sull’autobus di aver tirato tardi, che mi uccide). Io avrei desiderato offrire loro qualcosa di simile, ma non era così. Loro non avevano bisogno di me, e probabilmente di nessun altro, io ero quasi invisibile, cancellata dalla loro contentezza. Soltanto un paio di volte, mentre lui andava via, e dopo aver dato il consueto bacio sulle labbra a Luisa – lei non aspettava mai quel bacio seduta, ma si alzava in piedi per ricambiarlo –, mi rivolse un lieve cenno con il capo, quasi un inchino, dopo aver allungato il collo e sollevato la mano a mezz’aria per accomiatarsi dai camerieri, come se io fossi uno di loro, ma al femminile. La moglie, osservatrice, mi rivolse un gesto simile quando me ne andai – sempre dopo di lui e prima di lei – le stesse due volte in cui suo marito aveva mostrato quella cortesia.
Javier Marías - Gli innamoramenti

I - Sto qui, in attesa del silenzio

Sto qui, in attesa del silenzio.
Dinnanzi all’arsenale marcito
scorgo solo la scheggia
che è rimasta delle illuminazioni.
Come tutti i residui, essa porta con sé il segno
delle cose nascoste per sempre
o degli esseri sepolti sull’alto delle dune;
come le lettere marchiate a fuoco
sul fianco di un cavallo rubato da uno zingaro, o una
                                     voglia sulla pelle
dell’anca diletta.
Ora la notte scende per sempre.
Il mio sguardo affaticato segue la canoa
che si allontana dalle mangrovie.
Una luce nei banchi di sabbia. Un granchio nel fango.
E la vita evapora come le anime
nel cielo che non ospita alcun dio.
Tutti i paesaggi che ho visto si sono polverizzati
nelle cartoline corrose. E l’unghia sporca, chiazzata di nero,
prende il posto della mano antica. Le porte successive
delle banchine che immagazzinavano reste di cipolle e sacchi di zucchero
si ritirano nel buio, ridotte ad un’unica porta
refrattaria al bagliore dell’aurora.
Nella Barra di São Miguel, di fronte al mare,
solo ora ho compreso:
il giorno più lungo dell’uomo
dura meno di un lampo.
Il tempo non sarà più celebrato
fra le costellazioni.
Il cielo e la terra svaniranno
nella cenere delusa
dei domani rubati dalla morte.
E tutto ciò che ho amato si dissolve.
La nuvola scarlatta posa dolcemente
fra le case di fango e paglia e il mare lacerato dalle onde.
È arrivata l’ora di dire addio all’acqua nera
che mareggia nella tenebra della laguna
e al vento planetario che secca i pesci
appesi sui fili nelle capanne
e al mare caeté che si è aperto
dinnanzi alle falesie della mia patria perduta.
L’eternità passa come il vento.
Solo il tempo è eterno. Sono sempre stato qui
in mezzo al mio popolo decimato,
e le mie mani hanno armato oltre le dune
il dorato falò antropofagico
del prodigioso banchetto. Una notte di ceneri
succede ora al clamore e alla gioia.
Il mare cancella tutti i naufragi
e ogni fuoco si estingue, ogni fuoco dorato
si propaga e si spegne nel silenzio del mondo.
Qui, nel luogo di acqua e terra delle mie nascite successive,
la mia ombra vaga fra i relitti
delle navi perdute o sognate.
E cerco invano, nelle acque offese,
la castità dell’acqua chiara e intatta
che affiora nel mare al deflagrare dell’aurora
nel cuore della notte ammutolita.
O porta promessa alla consolazione della vita,
dopo tanta immondizia e dopo tanto splendore!
In questa notte finale, i falò celesti
bruciano ogni speranza e seppelliscono nella cenere
i sogni insensati delle anime terrestri
e il rantolo che sopprime ogni paradiso.
Nella notte crematoria, la morte è un falò.
Lêdo Ivo

martedì 25 giugno 2013

La tua assenza

La tua assenza
giunge sempre a testa bassa
vaga come al solito per le stanze
prima di chiedere la cena e il caffè
si accerta che i piccoli siano dentro di me
e il perdono
dietro le mie orecchie
poi si affaccia al balcone
e caccia gli angeli che si sono accalcati dietro le finestre
ogni volta
solleva il soffitto di qualche centimetro
e non fa nulla.
Ho forse detto che viene a testa bassa?
Forse ho esagerato un po'
la tua assenza non viene
è qui.
Fatima Na'ut

A chi sto parlando?

A chi sto parlando? Chi mi chiede
alcunché? A quale tuo ribelle scopo serve
il mio gergo? Perché piangere, pestare
i tuoi piedi su questo caldo terreno, infestato
dalla pioggia, dalle lacrime che cadono amorevoli
sulla tua calda testa.
Perché pesti i piedi? Perché gridi nella
fragile notte, se gli angeli vigilano e
pestano i piedi, sul fondo
del tuo cuore, fragile e pronto a perdonare?
Oh mia calda anima; essi, i ricchi, di
mente e di materia, t’acquiseterebbero
preferirebbero ti tenessi al sicuro
da eventuale assassinio.
Alla maniera dei ricchi (il loro povero
gergo) giace questa brillante sete:
di perdonarti, e poi passare
ad assetata vendetta, se anche
solo mi lascerai stringerti le
punte della dita, le tue fredde calde mani, aggrappandosi.
Da quando facesti prova in molte miriadi
sagomati angoli di questa sete di rabbia,
di questo tuo assassinio: hai ceduto: sii
povero, non male amministrare le cose che scorrono
lungo le tue rosse radici.
(Egli siede e piange ma non cederà
alla consolazione, la madre del
principe, giunto barcollando, sonnecchiando
su caldi cuscini: il tuo dono, la tua
passeggiata, il tuo sopportarmi,
assieme a tutte le rose radici).

Per tutto l’inverno che fu come un gelo tra le
Tue braccia io fuggivo desolata per una vasta, grande
Pianura color ambra. Non era per gelosia che sfumavano
le grandi ombre dei grattacieli; non era per il
gelo che io disdegnavo l’amico. Disegnavo attentamente
grandi trionfi che sfumavano anch’essi al primo
vano apparire del sole. Il sole forse era la tua
ombra sagace e sadica, la tua mano era piena di ombre
e i tuoi occhi simulavano la rapina, il sale e
i trionfi.
Arrestandomi su dei marciapiedi guardavo attentamente
muoversi il fiume. Non era chiaro se la città
si vendicasse!
Amelia Rosselli

Lo sai: debbo riperderti

Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l’oscura primavera
di Sottoripa.
Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzìo lungo viene dall’aperto,
strazia com’unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia
da te.
E l’inferno è certo.
Eugenio Montale

La mia vita

La mia vita, come l’ho vissuta, m’è sembrata spesso come una storia senza un inizio e senza una fine.
Ho avuto sempre la sensazione di essere un frammento storico, un brano di cui mancasse il testo che veniva prima e quello che veniva dopo. Potrei anche immaginare che forse sono vissuto in secoli precedenti, dove mi sono imbattuto in quesiti cui non sono stato capace di rispondere; e che son dovuto rinascere perché non avevo portato a termine il compito che mi era stato assegnato.
Carl Jung

E' come in un giorno di neve

...E' come in un giorno di neve
quando sei li, alla finestra,
e cominci ad osservare lo scenario che hai dinnanzi ai tuoi occhi:
tutto diventa rallentato, leggero, pulito, fermo, immacolato.
Avverti quanto sia caldo il tuo respiro
Senti chiaramente il battito del tuo cuore.
Nessun rumore.
I tuoi occhi seguono il movimento di un fiocco più grande degli altri.
Ti domandi come sia stato quel volo,
rifletti sulla sua piccola, fredda, intensa, vita.
Senti l'importanza di un forte abbraccio.
Noti la concentrazione di tutti i colori in uno:
Il Bianco.
E' come in un giorno di neve
che il mondo sembra fermarsi, fermarsi per consentirti di viaggiare,
in un luogo che ultimamente frequenti sempre meno:
la tua anima...
Anton Vanligt (Mai troppo folle)

lunedì 24 giugno 2013

...


Ho visto il cielo

Ho visto il cielo gon­go­larsi: era purpureo
poi mano a mano si schia­riva ed io mi
schia­rivo con esso: non riu­scivo ad
essere esso!

Quando fu gri­gio a chiaro non fu più
cielo: ah un attimo sfug­gente che perfino
io distrussi!

Quando il cielo tornò ad essere quella
mac­china sgua­iata dei nostri inverni
cit­ta­dini dimen­ti­cai quasi che potesse
essere all’alba un fulgore.

a tra­di­mento il blu si fece incolore
la pro­fon­dità dell’alba e della notte
sfumò in ago­nia di primo mattino.
Ame­lia Ros­selli

Siamo stati in esso

Siamo stati in esso
e ci ha lasciato
per sem­pre nel buio. Fu cosa
nostra, ma noi l’ignoriamo,
e nes­suno ci dirà cos’era
per­ché fu solo nostro.
Oggi siamo,
come nati oggi – come se esso
fosse il nasco­sto ventre
che ci dette alla luce, dove siamo stati
non sap­piamo per­ché, né come, né quanto tempo,
né quando… –
E adesso, via a vivere di nuovo! Seguita
la pri­ma­vera ad abbellirsi.
L’uccello e il fiore, tranquillamente,
riem­piono di canti e di pro­fumi nel sole soave
il pic­colo giar­dino solitario
della strada di fra­stuono, pie­tra e ferro.

… Come potrà oggi la vita,
da un nido nel buio,
come cre­demmo ieri sera,
nella verde pri­ma­vera, essere più luminosa?
Juan Ramón Jimé­nez

Odio gonfia una bolla di sconforto

Odio gon­fia una bolla di sconforto
a immen­sità mondo sistema uni­verso e bum
–paura sot­terra un domani nel buio
e su spunta ieri gio­va­nis­simo e verde

pia­cere e pena non sono che facce
(una si mostra, si nasconde una)
niuna della vita unico valore
è l’amore che fa solida la moneta.
venisse uno a chie­dere a madame morte
subi­ta­nea e senz’inverno primavera?
ella tor­cerà quello spi­rito con le
sue dita dan­do­gli nulla (se non canta)

a noi tanto più di quanto ci basta
cara. E se canto tu sei la mia voce,
 E. E. Cum­mings

sabato 22 giugno 2013

Per amore della risonante audacia

Per amore della riso­nante auda­cia dei secoli a venire,
per amore dell’eccelsa schiatta umana
mi son negato la coppa del brin­disi al festino dei padri
e l’allegria e il mio stesso onore.

Die­tro di me avverto il balzo dell’èra sgoz­za­lupi, ma sangue
Di lupo io non ho, e se non vuoi che m’azzanni,
fic­cami come un ber­retto nella manica della calda pelliccia
che rico­pre le steppe siberiane…

Per­ché io non veda il pau­roso né la molle sozzura
né le ossa lorde di san­gue nel giro della ruota,
e tutta notte, nella loro pri­mi­ge­nia bellezza,
riful­gano per me le volpi azzurre,

por­tami via nella notte dove scorre il fiume Eniséj
e a sfio­rare una stella si leva il tronco del pino,
giac­ché non ho san­gue di lupo e solo chi  m’è
uguale può farsi anche mio assassino.
 Osip Mandel’štam

E si ammassavano le nuvole

Sem­brava il tipo di vita che volevamo.
Fra­gole di bosco e panna al mattino.
La luce del sole in ogni stanza.
E noi a cam­mi­nare nudi sulla riva.

Qual­che sera, però, ci siamo trovati
incerti sul domani.
Come attori tra­gici d’un tea­tro in fiamme,
con gli uccelli a ruo­tare in cer­chio sulle nostre teste,
ed i pini scuri inspie­ga­bil­mente ancora lì fermi,
abbiamo cal­pe­stato ogni roc­cia insan­gui­nata dal tramonto.

E poi di nuovo sul nostro ter­razzo a sor­seg­giare vino.
Per­ché sem­pre que­sto senso di tra­gico finire?
Nuvole dalle sem­bianze quasi umane si ammassavano
all’orizzonte, men­tre ogni cosa era piacevole
nell’aria mite ed il mare sereno.

Poi la notte ancora ci sor­prese, una notte senza stelle.
Men­tre tu accen­devi una can­dela, nuda la portavi
in camera da letto ed in fretta la spegnevi,
ancora lì, inspie­ga­bil­mente fermi nel buio, i pini e l’erba.

Charles Simić


Facciamo l'amore

Quando dissi
“facciamo l’amore”
dicesti no
spiegandomi
“Ho appena conosciuto in sogno
un uomo amabile
Era cieco
ed era un tedesco
Non è buffo?”
Ti augurai sogni d’oro
e scesi da basso
alla mia scrivania
ma geloso
come non mai.
Erich Fried

venerdì 21 giugno 2013

Sirena

Sono con­vinto che tu non esista
e tut­ta­via ogni notte ti ascolto

t’invento a volte con la vanità
con la deso­la­zione o la pigrizia

dall’infinito mare arriva il tuo stupore
l’ascolto come un salmo e ciò malgrado

son così certo che tu non esista
che ti aspetto nel sogno per domani
 Mario Bene­detti

Nello stormo

In alto, ancora,
ancora un poco,
ecco,
quassù non giunge
la furente sparatoria
ma attento, attento,
ahimè que­sto bruciore
tra le piume, quella stilla
di san­gue che mi cola,
ecco cede la lena,
la forza mi vien meno,
sì, sono io
quel grumo
che crolla a piombo sul selciato…
Oh Dio del mondo
Quando sarò rinato?
 Mario Luzi

Il tempo provvisorio

Qui il tarlo nei legni,
una sete che oscena si rinnova
e dove fu amore lebbra
delle mura smoz­zi­cate delle case dissestate:
un dirotto oriz­zonte di città.
Per­ché non ven­gono i saldatori
Per­ché ritar­dano gli aggiustatori?
Ma non è dis­ser­vi­zio cittadino,
è morto tempo da spa­lare al più presto.
E tu, quanti anni per capirlo:
troppi per esserne certo.
 Vit­to­rio Sereni

Anni

Entrano come ani­mali dagli spazi
dell’agrifoglio dove le punte
non sono i pen­sieri su cui mi volgo, come uno yogi,
ma ver­dezza, oscu­rità così pure
che gelano e sono.

Oh Dio, io non sono come te
nel tuo nero vacuo,
pieno zeppo di stelle, scioc­chi corian­doli di luce.
L’eternità mi annoia,
non l’ho mai voluta.
Quello che amo è
lo stan­tuffo in movimento –
la mia anima muore davanti a lui.
E gli zoc­coli dei cavalli,
il loro impie­toso mulinare.

E tu, grande Stasi–
Dov’è tutta que­sta grandezza!
È una tigre, quest’anno, que­sto rug­gito alla porta?
È un Cristo,
la sua tremenda

parte divina
che muore dal desi­de­rio di volare e farla finita?
Le bac­che di san­gue sono se stesse, immobili.
Gli zoc­coli non ne vogliono sapere,
nella distanza azzurra fischiano gli stantuffi.
Syl­via Plath